Novembre e i Funghi: dall’arco alpino alle coste del Sud
Con l’arrivo di novembre, la stagione dei funghi entra nella sua fase più delicata. I giorni si accorciano, le prime gelate fanno capolino nelle vallate interne e l’energia solare che alimenta, anche indirettamente, la fruttificazione dei funghi comincia a scarseggiare. Ma novembre non è un mese sterile: anzi, è il momento in cui occorre osservare con maggiore attenzione, comprendere le differenze tra un bosco che si spegne e uno che ancora vive, e distinguere le zone ormai quiescenti da quelle che conservano un’energia sotterranea. Il segreto, come sempre, è leggere i segnali del clima e della vegetazione.
Secondo le previsioni di 3BMeteo aggiornate ai primi giorni del mese di Novembre 2025, il quadro meteorologico si presenta piuttosto articolato: il Nord Italia gode di un tempo più stabile e asciutto, con notti fredde e scarsa umidità residua; al contrario, sul Centro e Sud si concentrano piogge e rovesci anche intensi, capaci di riattivare le dinamiche del suolo nei boschi più riparati. Le Alpi, ormai oltre la soglia della produttività micologica classica, offrono solo isolate testimonianze di resistenza: qui, i funghi che si lasciano ancora osservare sono legati alle praterie d’alta quota e ai substrati meno esposti al gelo. In qualche angolo protetto, tra l’erba gialla e i licheni, è ancora possibile imbattersi in specie del genere Hygrocybe, piccoli funghi colorati che si spingono avanti nel calendario fin quasi all’inverno. Ma si tratta ormai più di osservazione naturalistica che di raccolta vera e propria: la stagione è, per le Alpi in alta quota, sostanzialmente conclusa.

Prealpi ed Appennini
Molto diverso è il discorso per le Prealpi e per l’Appennino, dove i boschi misti di latifoglie, se ben esposti e protetti, possono ancora offrire occasioni interessanti. Il fattore determinante, in questo contesto, è la combinazione tra esposizione solare, persistenza della copertura fogliare e umidità residua della lettiera. Nei versanti rivolti a sud o a est, soprattutto tra faggi, cerri, castagni e carpini che non hanno ancora completamente perso le foglie, si conservano microclimi adatti alla maturazione degli ultimi funghi simbionti della stagione. È proprio nei boschi collinari e appenninici che entrano in scena alcune delle specie più emblematiche del tardo autunno. Infundibulicybe geotropa, un tempo nota come Clitocybe geotropa, è forse il vero fungo di San Martino: compare spesso proprio attorno all’undici novembre, nelle radure erbose ma anche ai margini di boschi di latifoglie. La sua forma imbutiforme, con cappello massiccio, color crosta del pane, e il gambo robusto, sorregge fitte lamelle che decorrono lungo il gambo; ma ciò che colpisce, oltre alla mole, è il suo ordine: questi funghi non nascono a caso, ma in file, semicerchi o cerchi quasi perfetti, come se obbedissero a un disegno sotterraneo.

In questo periodo non manca anche Lepista nuda, fungo che predilige contesti antropizzati o prativi, i margini dei sentieri, i fossati umidi e le zone muschiose ben aerate. La sua livrea violacea, tendente al lilla freddo, la rendono riconoscibile anche a distanza; si segnala ancora con discreta frequenza nei contesti misti dell’Appennino settentrionale e nelle zone pedemontane più riparate. Armillaria mellea, il chiodino o famigliola buona (da consumare sempre fresca, scartando il gambo, dopo prebollitura, gettando l'acqua di cottura e proseguendo con una cottura prolungata), in novembre si ritrova un po’ ovunque: dai castagneti liguri e piemontesi ai boschi mesofili dell’Emilia, fino ai versanti appenninici dove faggi, cerri o aceri iniziano a entrare in stasi vegetativa. Non manca neppure in zone umide di pianura, in presenza di ceppaie o radici esposte, segnalando il passaggio del bosco verso la fase più profonda dell’autunno. Tra le specie più rappresentative della chiusura stagionale nel nord nella Penisola si inserisce il cosiddetto agarico portentoso, Tricholoma portentosum, fungo tardo-autunnale presente sia nelle faggete appenniniche che nelle pinete ed abetaie di montagna e collina, dove i suoli restano freschi e ben drenati. La sua comparsa è spesso discreta, ma costante, nei boschi maturi in zone alpine e, in Appennino, soprattutto lungo i crinali tra Toscana, Liguria ed Emilia-Romagna. Nei rimboschimenti a conifere e nelle pinete costiere o submontane, particolarmente là dove prevalgono pino silvestre e marittimo, il tardo autunno offre ancora una buona varietà di specie micologiche. Tra le più frequenti si segnalano le finferle (Craterellus lutescens), i sanguinelli (Lactarius deliciosus e affini) e diverse specie del genere Suillus e Tricholoma, ancora attive dove il micelio riesce a sfruttare la temperatura mite del suolo e la protezione del manto aghiforme. Questi ambienti, meno frequentati dai cercatori rispetto ai castagneti o alle faggete, conservano in realtà una straordinaria vitalità micologica anche in novembre, con frequenti apparizioni di specie di interesse scientifico, ecologico e talvolta alimentare. A conferma di ciò, anche le zone planiziali e submarittime ben esposte, come alcuni tratti delle pinete emiliane, dei litorali veneti o delle alture del Carso, mantengono, in presenza di piogge recenti e giornate asciutte, un potenziale produttivo micologico non trascurabile.

Centro, al centro!
Il Centro Italia si trova in una condizione intermedia, in bilico tra il sonno invernale e un’ultima spinta vegetativa favorita dal clima più mite e dalle piogge irregolari che in queste settimane stanno bagnando a macchia di leopardo soprattutto le aree interne e tirreniche.