Verso l'inverno: andar per funghi in macchia mediterranea

Verso l'inverno: andar per funghi in macchia mediterranea
Boletus aereus, bronzino o porcino nero, in una sughereta mediterranea in Sardegna.
La macchia mediterranea è uno dei contesti migliori per capire che la fruttificazione dei funghi non obbedisce a un calendario fisso, ma risponde a un insieme di fattori: disponibilità d’acqua nel suolo, andamento delle temperature, persistenza del vento secco, tipo di vegetazione e maturità del bosco. Nelle fasce costiere e collinari a clima pienamente mediterraneo, in diverse regioni d’Italia, la stagione micologica non coincide con il classico “luglio–ottobre” dei boschi interni: le crescite più significative compaiono spesso da novembre in avanti e, nelle annate giuste, si spingono fino all’inverno inoltrato. Per orientarsi davvero in questi ambienti, e non limitarsi a tentativi casuali, è indispensabile chiarire che cosa intendiamo per macchia mediterranea, come è distribuita sul territorio e in che modo il suo rapporto con clima e suolo condiziona il lavoro dei simbionti.

Che cosa è la macchia mediterranea?

Quando parliamo di macchia mediterranea non si indica una generica boscaglia bassa e fitta, ma l’insieme delle formazioni sempreverdi a foglie dure (sclerofille) che rappresentano la vera firma del clima mediterraneo, quello delle estati lunghe e secche e degli inverni miti e piovosi. Il nucleo di questi popolamenti è dato dal leccio (Quercus ilex) e, sui suoli più acidi, dalla sughera (Quercus suber); intorno a loro si organizza una fascia arbustiva molto articolata, in cui compaiono quasi ovunque corbezzolo (Arbutus unedo), mirto (Myrtus communis), fillirea (Phillyrea spp.), lentisco (Pistacia lentiscus), eriche (Erica arborea, E. scoparia), cisti (Cistus spp.), ginepri e, nelle zone più esposte, pinete di Pinus halepensis, P. pinea, P. pinaster. In alcuni tratti, questa vegetazione si presenta come una lecceta sempreverde chiusa che funziona a tutti gli effetti come una foresta matura; altrove, invece, si frammenta in un mosaico di alberi e arbusti alternati a radure sassose o sabbiose, fino ad arrivare alle forme più basse e povere della gariga, vale a dire comunità dominata da piccoli arbusti e suffrutici (cisti, ginestre, timi, lavande spontanee), su suoli molto superficiali e spesso modellati da incendi e pascolo. È lungo questo gradiente strutturale che cambia anche il potenziale micologico: dove il soprassuolo è continuo, ombreggiante e stabile nel tempo, il suolo accumula una lettiera spessa e umida in cui il micelio trova condizioni favorevoli e una buona diversità di simbionti; dove invece la copertura è rada, il disturbo frequente e l’humus scarso, la comunità fungina tende a privilegiare specie più pionieristiche e legate agli eventi, con crescite meno regolari ma fortemente correlate ai fattori climatici e alla dinamica, spesso rapida, di questi ambienti aperti.

Foresta demaniale di Marganai (SU), Sardegna; ambiente ricco di biodiversità caratteristica della macchia mediterranea, dalle formazioni a cisto a boschi di leccio e sughera. (A.Orrù)

Macchie d'Italia

Una volta chiarito il significato di macchia mediterranea, il passo successivo è capire dove questo tipo di vegetazione ha ancora un ruolo rilevante nel paesaggio italiano. Non si tratta solo di pochi "boschi famosi", ma di una vera e propria cintura che corre lungo molte delle nostre coste, soprattutto quelle esposte ai regimi più tipicamente mediterranei. Dalla Liguria di Ponente alle fasce litoranee tirreniche della Toscana e del Lazio, dal versante campano e calabrese fino alle coste ioniche e adriatiche meridionali, la macchia occupa le colline basse, i promontori e i versanti più caldi e aridi. In Sicilia e Sardegna, in particolare, non si tratta di un semplice frammento, ma di un elemento che forma ancora blocchi continui di leccete, sugherete e mosaici di arbusti sempreverdi che risalgono anche le vallate interne, fin dove il clima resta mite e le gelate prolungate sono un evento eccezionale.

Arbusti sclerofilli bassi e gariga affacciati sul mare: un paesaggio xerico tipico delle nostre coste, dove la macchia si apre in comunità rade di cisti, ginestre e suffrutici adattati a suoli sottili, rocciosi e a lunghissimi periodi di siccità.

Boschi giovani e maturi

Dal punto di vista micologico, le macchie che hanno avuto il tempo di strutturarsi, come le leccete stabili, le sugherete consolidate e le pinete mediterranee mature con un sottobosco continuo di corbezzolo, erica, mirto e cisto, restano il contesto principale per le grandi produzioni di simbionti "classici", come i porcini mediterranei (Boletus aereus e Boletus aestivalis), i leccini (Leccinellum lepidum), gli ovoli (Amanita caesarea), i finferli (Cantharellus alborufescens) e molte altre specie da raccolta o da studio. Qui, la continuità del soprassuolo, l’ombreggiamento e la lettiera spessa garantiscono un suolo più umido, protetto dal vento e in grado di sfruttare a lungo le piogge autunnali. Ciò non significa, però, che le fasi giovanili o post-incendio siano povere di funghi; al contrario, nei primi anni successivi al disturbo, spesso compaiono specie pionieristiche molto interessanti, sia saprotrofiche sia ectomicorriziche, legate alla ricolonizzazione del suolo e ai rapidi cambiamenti della lettiera. Nelle garighe basse e nei popolamenti arbustivi più recenti, la comunità fungina non è necessariamente "più povera", ma diversa: meno centrata sui grandi simbionti tardo-autunnali tipici delle leccete mature e più orientata verso specie legate ai cisti, ai pini giovani, al legno bruciato e alla dinamica di ricostruzione della macchia.

Sughereta mediterranea: bosco di Quercus suber in ambiente arido; sud-est della Spagna.

Clima mediterraneo

Il nodo centrale, in questi ambienti, resta comunque il clima. Il regime mediterraneo non è solo “più caldo”: è soprattutto sbilanciato nella distribuzione delle precipitazioni. Dopo la primavera, il bilancio idrico diventa progressivamente negativo; in molti settori, fra fine maggio e settembre, le piogge utili al suolo sono poche o nulle. Lo strato superficiale si essicca, la colonna del terreno si scalda in profondità, le piante entrano in una fase di difesa, riducendo al minimo traspirazione e crescita. Il micelio, di conseguenza, sopravvive ma non investe in nuove strutture; si limita a conservare quanto costruito negli anni precedenti. È solo con il ritorno di vere perturbazioni autunnali che il sistema cambia regime. Non basta un temporale isolato: servono piogge ripetute, abbastanza ravvicinate da ricaricare non solo i primi centimetri di suolo, ma anche gli strati più profondi esplorati dalle radici del leccio, della sughera e degli altri alberi. Quando l’acqua torna disponibile in modo continuo e le temperature cominciano a scendere, la fisiologia delle piante si sposta di nuovo su un bilancio positivo: la fotosintesi è più efficiente, la traspirazione non comporta più rischi eccessivi, il flusso di carboidrati verso il sistema radicale aumenta. È in questa fase che la simbiosi micorrizica può tornare a essere “generosa” e che il micelio ha finalmente margine per destinare una parte delle risorse alla fruttificazione.

Porcini (Boletus aereus) in zone aperte di macchia mediterranea, fra cisti e sughere.

Da qui nasce la percezione, molto concreta, che nella macchia mediterranea i funghi “arrivino tardi”. In realtà non sono in ritardo, stanno solo seguendo il loro vero calendario: quello imposto dal bilancio idrico e dall’attività delle piante ospiti. Se spostiamo il punto di vista sulle piante, il quadro diventa ancora più chiaro. Le specie sclerofille dominanti sono nate per reggere periodi lunghissimi di stress idrico senza collassare. Il leccio mantiene la chioma anche nei mesi più critici, ma lo fa rallentando tutti i processi che comportano consumo d’acqua: chiude parzialmente gli stomi, riduce la traspirazione, lavora con un metabolismo “di sopravvivenza”. La sughera, sui suoli acidi, si comporta in modo analogo, con in più la protezione della corteccia per resistere agli incendi. Corbezzolo, fillirea, mirto, lentisco, erica, cisto, ciascuno con la propria strategia, contribuiscono a creare una copertura continua che riduce il vento al suolo e fa da filtro tra atmosfera e micelio. Tutto questo finché l’acqua manca. Quando le piogge tornano davvero, questo apparato vegetale non si limita a “verdeggiare” di nuovo: riprende a scambiare in modo intensivo con il suolo, a rilasciare essudati radicali, a sostenere pienamente le micorrize. Le radici non assorbono solo acqua ed elementi minerali, ma reinvestono nel micelio una quota importante dei prodotti della fotosintesi. Nei boschi mediterranei maturi, proprio questo patto rinnovato dopo l’estate permette ai simbionti di esplodere in poche settimane con fruttificazioni che, viste dall’esterno, sembrano improvvise, ma che in realtà sono il risultato di un lungo lavoro sotterraneo.

Cantharellus alborufescens nella sua variabilità morfocromatica, in bosco misto di leccio e pino marittimo; nelle zone più calde, possono presentarsi anche in pieno mese di gennaio!

Da un punto di vista pratico, per chi vuole leggere questi ambienti con occhio micologico, la conseguenza è semplice: ha poco senso aspettarsi buttate significative in macchia dopo il primo rovescio di fine estate, a meno che le piogge siano abbondanti e il clima non troppo torrido. Conviene osservare la sequenza degli episodi piovosi, la risposta della vegetazione e lo stato della lettiera. Quando la lettiera di leccio, prima rigida e scricchiolante, torna morbida e leggermente compatta sotto i passi, quando compaiono i primi muschi attivi sui tronchi e sulle pietre ombreggiate, quando la macchia “profuma” di acqua assorbita e non solo di terra bagnata in superficie, allora le condizioni per una fruttificazione consistente sono davvero in atto. In questo scenario, alcuni funghi eduli assumono un significato particolare. Il porcino nero, Boletus aereus, è il simbolo stesso delle leccete e delle sugherete mediterranee: preferisce boschi maturi, suoli ben drenati ma con una lettiera abbondante, ed è tipicamente tardivo. Comparsa e abbondanza variano molto da zona a zona, ma il tratto comune è la sensibilità al quadro idrico complessivo dell’autunno. Il porcinello d'inverno, Leccinellum lepidum, si inserisce nello stesso contesto, spesso in stazioni leggermente più aperte e aride, ma con una spiccata capacità di fruttificare anche a temperature relativamente basse, quando altri boleti sono scomparsi, con preferenzialità per il semestre novembre-aprile.

Leccinellum lepidum in bosco di leccio maturo; foto scattata nel mese di Gennaio.

Accanto a questi, fruttificano numerose altre specie simbionti delle essenze citate, in particolare appartenenti ai generi Russula, Lactarius, Ramaria, Tricholoma, Hygrophorus e Cortinarius: un patrimonio micologico in cui spesso l’interesse scientifico viene prima di quello “gastronomico”, per la specializzazione ecologica e la fedeltà agli ambienti xero–termofili. Nelle macchie meglio strutturate non mancano gli ovoli buoni, Amanita caesarea, legati ai querceti termofili e alle leccete miste, né i finferli mediterranei, con una presenza importante di Cantharellus alborufescens, tipico delle leccete e dei boschi sempreverdi più caldi. Nelle pinete mediterranee, invece, i lattari del gruppo dei sanguinelli (Lactarius deliciosus, L. sanguifluus) diventano spesso i protagonisti più evidenti dopo episodi piovosi intensi a cavallo tra fine autunno e inizio inverno, sovente accompagnati dai cosiddetti pinaroli del genere Suillus (in particolare Suillus granulatus e S. bellinii) e da diversi Tricholoma, comprese le “morette” del gruppo di Tricholoma terreum, che completano il quadro delle specie tardo-autunnali di maggior rilievo in questi sistemi.

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Nella lettiera spesso sottile della macchia vive un piccolo esercito di saprotrofi “specialisti”, capaci di sfruttare al massimo foglie coriacee, ramoscelli secchi e radichette morte, mantenendo attivo il ciclo della decomposizione anche dopo mesi di siccità. A dominare la scena sono soprattutto specie dei generi Marasmiellus, Gymnopus, Macrolepiota e Agaricus: funghi meno appariscenti dei grandi simbionti, ma decisivi per capire come questo ecosistema ricicla energia e nutrienti, ai quali dedicheremo un approfondimento specifico.
Cortinarius caligatus, splendido rappresentante dell'ambiente mediterraneo.

Tutto questo si traduce in un punto chiave: la macchia mediterranea, per chi si occupa di funghi, non è “un mese spostato più avanti” rispetto ai boschi di montagna, ma un sistema con una logica propria, in cui la fenologia delle piante, il regime delle piogge e la maturità del soprassuolo determinano tempi e intensità delle buttate. L’osservatore che impara a leggere queste connessioni, guardando non solo le previsioni di pioggia, ma anche la storia recente dell’ambiente, le cicatrici di incendi, la struttura della lecceta, lo spessore dell’humus, si muove con una consapevolezza diversa. Non cerca in ogni stagione ovunque, ma concentra gli sforzi quando climatologia, vegetazione e micelio remano nella stessa direzione. Infine, c’è un elemento di contesto che un articolo dedicato a funghi e macchia non può ignorare. Questo tipo di vegetazione rappresenta uno dei presìdi più importanti contro l'erosione, la perdita di suolo e l'avanzamento dei processi di aridificazione lungo le nostre coste. Gli stessi boschi che ospitano i porcini neri più tardivi sono quelli che trattengono l'acqua e l'umidità, rallentano il ruscellamento, proteggono i versanti e offrono rifugio anche a una fauna specializzata. La ricerca, lo studio e la raccolta consapevole passano anche da qui: rispettare la lettiera e il micelio significa, in prospettiva, preservare non solo la risorsa "fungo", ma l'intero equilibrio della nostra splendida macchia mediterranea.