Pulizia dei funghi: a cosa serve, cosa dice la legge

Pulire i funghi nel bosco è un gesto che accompagna da sempre i cercatori esperti, ma non tutti sanno che si tratta di una pratica prevista e regolamentata dalla legge italiana. L’indicazione di effettuare una “pulizia sommaria” può sembrare vaga e lasciare spazio a interpretazioni opposte: c’è chi si limita a scrollare via l’umidità del terreno e chi, al contrario, pulisce i funghi porcini ritrovati "come in cucina”, pelando completamente il gambo. Entrambe le soluzioni, però, rischiano di essere sbagliate. La verità sta nel mezzo e si basa su motivazioni scientifiche, ecologiche e igieniche ben precise.
Cosa prevede la legge?
La normativa italiana –anche nelle sue derivazioni regionali – stabilisce che i funghi commestibili debbano essere trasportati interi, collocati in contenitori rigidi e ben aerati (come il tradizionale cestino in vimini) e ripuliti sommariamente dal terriccio e dallo strato umifero. L’obiettivo è triplice: permettere un’identificazione micologica corretta (impossibile se mancano porzioni del gambo o del cappello), evitare che detriti del bosco vengano trasportati altrove e, soprattutto, mantenere condizioni igieniche adeguate per il consumo umano. Questa pulizia preliminare non ha solo un valore estetico: terra e foglie possono ospitare larve di insetti, nematodi, acari o batteri. Alcuni di questi – come larve di ditteri o coleotteri micetofagi – sono innocui per l’uomo ma accelerano la decomposizione del fungo, scavando gallerie e rendendo così la polpa più esposta. Altri microrganismi possono invece favorire fermentazioni indesiderate o trasmettere contaminazioni secondarie che peggiorano la qualità del raccolto. Rimuovere il terriccio in eccesso significa quindi ridurre la carica biologica iniziale e rallentare la degradazione naturale che comincia subito dopo la raccolta.
Funghi: organismi delicati e vulnerabili
Per fare il punto in maniera esaustiva, è bene ricordare come la struttura di un fungo sia radicalmente diversa da quella di svariati vegetali o frutti. Non possiede una "buccia" protettiva, ma è composto da ife intrecciate fra loro ricche di acqua (fino al 90% del peso totale). Questo lo rende sensibile a urti, variazioni di umidità e contaminazioni microbiche. Quando si “pela” un fungo – ad esempio raschiando il gambo dei porcini fino a renderlo completamente bianco – si eliminano sì le impurità visibili, ma si espongono anche i tessuti interni all'aria. Questi, privi di difese naturali, possono rapidamente ossidarsi e diventare terreno fertile per batteri ambientali come Pseudomonas o muffe del genere Cladosporium, che ne accelerano il deterioramento. Un fungo eccessivamente pulito sul campo, se destinato a rimanere qualche giorno nel cesto o in frigorifero, rischia quindi di arrivare a casa in condizioni peggiori rispetto a un esemplare ripulito con moderazione.

Torsione o taglio?
In principio, un tema spesso dibattuto è il modo corretto di staccare il fungo dal terreno: meglio la torsione o il taglio alla base? Dal punto di vista scientifico entrambe le tecniche, se eseguite correttamente, non arrecano danno al micelio sotterraneo, che continuerà a vivere e fruttificare. La torsione – cioè ruotare delicatamente il gambo fino a staccarlo – è la pratica migliore perché permette di estrarre il fungo intero e osservare meglio le caratteristiche diagnostiche necessarie all’identificazione, oltre a non danneggiare l'esemplare. Senza dimenticare di ripristinare sempre il punto di raccolta, senza lasciare buchi o zone scoperte nel substrato. Il taglio alla base, eseguito con un coltellino affilato, è invece indicato in suoli compatti o per funghi più fragili: lascia nel terreno la parte inferiore del gambo e riduce la quantità di terra che finisce nel cestino; è una pratica comune all'estero (Polonia, Bielorussia, Ucrania) dove i porcini raccolti, in genere, vengono rapidamente avviati alle industrie conserviere.

Pulizia sul campo e a casa: quando, fare cosa
La strategia migliore dipende dal tempo che intercorre tra la raccolta e il consumo. Se si prevede di cucinare o conservare i funghi entro poche ore – per esempio surgelarli, essiccarli o metterli sottolio – può essere utile una pulizia più accurata sul campo, eliminando la maggior parte del terriccio e pelando leggermente le parti più sporche. In questo modo si arriva in cucina con un prodotto quasi pronto all’uso. Al contrario, se i funghi devono restare freschi per due o più giorni (ad esempio, per quelli avviati al commercio), è preferibile limitarsi a togliere l’eccesso di terriccio scuotendo il fungo e sfregandolo con la mano alla base del gambo, senza effettuare una pulizia completa. Mantenere intatto lo strato naturale protettivo, di fatto rallenta l’ossidazione, protegge dall’attacco di microrganismi e consente di conservare meglio profumo e consistenza.
Il ruolo del contenitore: cestino o gerla?
Anche la scelta del contenitore incide in modo decisivo sulla conservazione del raccolto e sulla gestione dello sporco residuo. Il cesto in vimini rimane la soluzione ideale: la sua struttura permette un ricambio costante d’aria e consente ai funghi di assestarsi senza pressioni eccessive. La terra che si stacca durante il cammino tende a depositarsi sul fondo, senza contaminare gli esemplari sovrastanti e mantenendo così il raccolto più ordinato e facilmente controllabile. Diverso il comportamento delle gerle portate in spalla o degli zaini rigidi: durante la marcia i funghi subiscono movimenti continui e sfregamenti tra loro, con il risultato che il terriccio residuo si distribuisce su tutta la massa e gli esemplari più delicati rischiano di danneggiarsi o schiacciarsi. Questo non solo compromette l’aspetto del raccolto, ma accelera anche i processi di deterioramento, specialmente nelle specie più acquose o fragili.
Un video che spiega esaustivamente la corretta raccolta e pulizia dei funghi porcini.
E le spore?
Un dubbio che spesso sorge tra i raccoglitori riguarda la dispersione delle spore: “Se taglio il fungo e lo porto via, non rischio di danneggiare il micelio e impedire nuove nascite?” In realtà la questione è più complessa e meno drammatica di quanto si creda. Ogni sporoforo maturo, infatti, produce centinaia di milioni di spore, che vengono liberate continuamente nell’ambiente molto prima che il fungo venga raccolto. Inoltre, il micelio sotterraneo – la vera pianta del fungo – rimane intatto nel suolo e continua il proprio ciclo vitale indipendentemente dal destino del singolo corpo fruttifero. Portare via un fungo già formato, quindi, non compromette la sopravvivenza della colonia micorrizica o saprofita: l’equilibrio dell’ecosistema dipende piuttosto dalla conservazione dell’habitat, dell’umidità e delle piante simbionti, non dal singolo gesto di raccolta. E in tal senso, anche la pulizia sommaria non ha una valenza diretta sulla riproduzione del fungo o sulla vitalità del micelio: il suo scopo resta legato alla qualità del raccolto e alla corretta ispezione, non alla conservazione della specie.
Cosa succede se si consumano funghi deteriorati?
Mangiare un fungo deteriorato non significa solo trovarsi davanti a un alimento sgradevole: può comportare rischi reali per la salute. La degradazione microbica porta alla formazione di sostanze tossiche e di composti azotati che irritano il tratto gastrointestinale. Anche funghi commestibili, se mal conservati o in stato di decomposizione, possono provocare intossicazioni gastrointestinali acute: nausea, vomito, diarrea e, nei casi peggiori, disidratazione importante. In alcuni casi, come per i boleti infestati da larve, la degradazione proteica avanzata può produrre odori ammoniacali e sapori amari che segnalano chiaramente la non idoneità al consumo. Per questo è fondamentale non solo riconoscere le specie corrette, ma mantenere la loro freschezza dal bosco alla tavola, evitando manipolazioni eccessive e rispettando tempi e modalità di conservazione.
La regola d’oro
Pulire i funghi nel bosco significa trovare il giusto equilibrio: rimuovere lo sporco superfluo senza intaccare la loro naturale protezione, rispettare il bosco lasciando sul posto l’humus, scegliere un contenitore che ne preservi la freschezza e procedere alla pulizia completa solo al momento giusto. Così si garantisce non solo un piatto sicuro e profumato, ma anche un approccio rispettoso verso l’ambiente che li ha generati.