Ottobre 2025: che fine hanno fatto i funghi?

Ottobre 2025: che fine hanno fatto i funghi?
Boletus edulis in una faggeta appenninica; Ottobre 2025.
In questi giorni di metà ottobre, i boschi italiani appaiono ancora insolitamente verdi, come se l’autunno esitasse a cominciare davvero. La stagione pare sospesa, e con essa anche le attese dei cercatori. La domanda che serpeggia tra gli appassionati, dal Trentino alla Sila, è semplice solo in apparenza: ottobre sarà ancora un mese da funghi? E, più concretamente, lo sarà anche quest’anno?

La risposta, come spesso accade nella ricerca dei funghi, come in micologia, non può essere sbrigativa. Occorre prima guardarsi alle spalle, osservare l’eredità dei mesi precedenti, leggere il linguaggio sottile della vegetazione e interpretare i segnali che arrivano dal suolo. Solo così si può comprendere se ci troviamo di fronte a una stagione che ha già dato il meglio, o se invece ci attende una seconda ondata, silenziosa, ma potente, nelle prossime settimane. Di certo, il bilancio climatico del 2025, finora, è stato sfaccettato e discontinuo. Dopo un luglio sorprendentemente positivo in molte aree del Nord-Est, con buttate precoci e abbondanti di Boletus edulis e B. pinophilus tra le faggete alpine e i versanti dolomitici, la stagione sembrava destinata a decollare. Anche l’Appennino, tra Emilia-Romagna, Toscana e Liguria, aveva offerto un luglio generoso, favorito da temporali pomeridiani e temperature meno afose rispetto alla media degli ultimi anni, con belle crescite di porcini estivi, Boletus aestivalis.

Settembre e le improvvise "buttate"

Settembre, con la sua natura di mese di passaggio e di prova generale per l’autunno, ha assunto quest’anno un ruolo da protagonista, riscrivendo in buona parte la narrazione micologica del 2025. In molte zone del Nord e del Centro Italia, le condizioni ambientali si sono rivelate straordinariamente favorevoli alla fruttificazione. Si sono osservate buttate importanti, in alcuni casi vere e proprie esplosioni, di Boletus aereus, Boletus aestivalis, Amanita caesarea, Russula virescens, Cantharellus cibarius e numerose altre specie simbionti e saprotrofe (compreso il tossico e "recentemente celebre, fungo dell'olivo), con apici significativi nella prima e nella seconda decade del mese, tra i 300 e i 1000 metri di quota. In particolare, aree come il Piemonte orientale, le valli e i versanti del Trentino centro-meridionale, l’Appennino parmigiano, reggiano e modenese, la Toscana centrale, il Lazio, l’Umbria settentrionale e alcuni settori del Casentino hanno beneficiato di una combinazione ideale di precipitazioni ben distribuite, temperature massime contenute, minime notturne non troppo fredde e una lieve ma costante escursione termica giornaliera, elemento che favorisce la spinta "sporoforica" del micelio. Al contrario, la situazione si è mostrata più incerta e spesso deludente in altre regioni, dove il settembre 2025 è risultato avaro o irregolare sotto il profilo climatico. In gran parte del Nord-Ovest, in particolare tra le Alpi Marittime e le valli centro-occidentali, le piogge sono arrivate in modo disordinato o si sono concentrate in brevi episodi temporaleschi, spesso seguiti da giornate asciutte e ventose che hanno vanificato il beneficio dell’acqua. Anche la Sardegna centro-occidentale, la Puglia settentrionale e ampi settori della Calabria hanno mostrato un profilo meteorologico poco favorevole: la distribuzione delle precipitazioni è stata frammentaria, spesso limitata a singole celle temporalesche senza continuità, e l’umidità accumulata si è dispersa troppo rapidamente, senza consentire al micelio di attivarsi in modo efficace. In queste zone, l’inizio dell’autunno è rimasto quasi silente, e l’intera attività fungina pare essersi messa in attesa di segnali più stabili, soprattutto in termini di umidità persistente e raffreddamento graduale del suolo. Si è trattato, in molti casi, di una falsa partenza climatica, in cui le condizioni ambientali hanno promesso più di quanto abbiano realmente mantenuto. In mancanza di piogge continue e suoli capaci di trattenere l'acqua in profondità, il micelio ha preferito restare in uno stato di quiescenza, rimandando l’emissione degli sporofori a una fase successiva, forse proprio in queste settimane, se le condizioni lo consentiranno. Tutto ciò ci consegna un ottobre atipico, ancora in attesa del suo reale inizio. Il foliage stesso -quell’insieme di segnali cromatici che accompagna il passaggio all’autunno pieno- risulta in leggero ritardo, con faggi ancora pienamente verdi, castagni appena ingialliti, aceri che faticano a tingersi.

Il foliage in autunno; ad oggi le condizioni sembrano ancora "distanti" da questo contesto.

La pianta, come il fungo, risponde a equilibri climatici complessi. E se le piante non hanno ancora ricevuto il segnale del cambio di stagione, anche il micelio può rimanere in una fase di attesa. A oggi, i dati meteo attuali confermano questa fase sospesa. Le temperature massime si mantengono superiori alla media del periodo su gran parte della Penisola, con valori prossimi ai 22–24°C in molte zone collinari e persino superiori nei fondovalle appenninici. Le minime, pur calate rispetto a settembre, restano miti: difficilmente scendono sotto i 7–8°C anche nelle valli alpine più umide. L’umidità relativa è buona, ma le precipitazioni restano scarse o localizzate.

Ad oggi, secondo le proiezioni elaborate da 3bmeteo.com, è possibile che nella seconda metà del mese (entro la terza decade) una corrente più umida atlantica raggiunga l’Italia centro-settentrionale, riportando piogge più diffuse e anche una discesa termica, meno diretta ma marcata e costante. Questo potrebbe riattivare il micelio dormiente e innescare una fruttificazione tardiva, specie nelle zone dove settembre è stato sterile ma ottobre ancora mite. Tuttavia, se le precipitazioni saranno seguite da un repentino calo delle temperature minime o da venti secchi, il potenziale potrebbe rimanere inespresso. Come sempre, sarà la combinazione tra pioggia, stabilità termica e durata dell’umidità nel suolo a determinare la qualità della buttata. Il discorso cambia ulteriormente se ci si sposta a Sud. In gran parte delle regioni meridionali, l’autunno micologico inizia spesso proprio a fine settembre, o addirittura a novembre, complice un’estate più lunga e una maggiore inerzia termica del suolo. In queste aree, il ritardo del foliage non è necessariamente un problema, anzi: rappresenta la norma stagionale. Tuttavia, anche qui, la distribuzione delle piogge resta il vero ago della bilancia. Senza piogge persistenti e senza una discesa termica che stabilizzi i microclimi boschivi, il micelio resta silente.

Anche se il clima sembra "ostico", i funghi potrebbero regalarci un inatteso "colpo di coda".

Cercar funghi porcini in Ottobre

E in tutto questo scenario variegato e a tratti contraddittorio, che ruolo hanno davvero i porcini? La loro comparsa in ottobre — da sempre attesa come culmine della stagione — non è affatto scontata. Dipende da una serie di equilibri ambientali già predisposti nel mese precedente. Laddove il micelio ha potuto lavorare senza stress, dove l’acqua non si è limitata a bagnare superficialmente le foglie ma è penetrata nel suolo fino agli strati miceliali, e dove le temperature si sono stabilizzate per alcuni giorni consecutivi tra gli 8 e i 15-17 °C, allora Boletus edulis, B. pinophilus e persino B. aereus possono ancora manifestarsi in modo attivo, talvolta in maniera improvvisa e spettacolare. Ma se anche solo uno di questi parametri viene meno, ottobre rischia di diventare un’eco sbiadita di ciò che poteva essere a settembre, oppure un preludio silenzioso a una possibile ripresa nelle prime settimane di novembre, in quelle zone dove l’autunno ha fisiologicamente un passo più lento. A livello pratico, per chi osserva con attenzione il proprio territorio, i segnali ci sono. È nelle faggete submontane, a ridosso di ruscelli, vallette ombrose o versanti esposti a nord-est, che si conservano le condizioni ideali: un’umidità stratificata, una lettiera stabile, temperature che oscillano con dolcezza tra giorno e notte. Anche le pinete miste con muschi abbondanti, specie nei fondovalle o in tratti riparati dal vento, possono rivelarsi fruttuose, soprattutto dopo giornate grigie e cariche di condensa. E in Appennino, è spesso la seconda metà di ottobre quella che custodisce le ultime buttate di Boletus edulis e Boletus pinophilus, specie nelle faggete e nelle abetine più stabili, dove la copertura arborea e la pendenza favorevole trattengono l’umidità e smorzano le escursioni termiche. Sono ambienti relativamente freschi ma non ancora freddi, dove il micelio riesce ancora a completare la fruttificazione in presenza di un equilibrio climatico minimo. Più in alto, tra le foreste di conifere delle Alpi orientali e centrali, la situazione si complica: le prime gelate iniziano a comparire e l’autunno micologico rischia di spegnersi rapidamente, se non nei microambienti più protetti — come conche ombrose, margini muschivi o versanti ben schermati. Qui, se il bosco riesce a trattenere il calore residuo del giorno e l’umidità non si disperde, non sono rare sorprese di quota, persino oltre i 1300 metri. Diverso il discorso per le pianure interne e le aree costiere del Centro-Sud, dove il clima resta più stabile e l’umidità del suolo, se non contrastata dal vento, può ancora sostenere lo sviluppo dei funghi. In questi ambienti — dominati da querceti misti, leccete e sugherete — ottobre rappresenta spesso il vero avvio della stagione micologica, più che una sua coda. Il terreno è ancora tiepido, la vegetazione tarda a ingiallire, e il micelio, se ben idratato, risponde prontamente. Nelle regioni mediterranee e insulari, il mese si è aperto con una fase interlocutoria, mantenendo intatte le potenzialità di crescita. In tal senso, i boschi delle zone collinari, con suoli profondi e strutturati, rappresentano i contesti più promettenti, a condizione che non spirino venti secchi da nord o da est, capaci di compromettere in pochi giorni anche una fruttificazione già avviata. Dove l’autunno si insinua con lentezza e costanza, invece, ottobre può dare avvio a un periodo sorprendentemente attivo, destinato a prolungarsi ben oltre la fine del mese.

Eppure, vi è un’ulteriore riflessione da fare, che ci impone uno sguardo più ampio. Negli ultimi anni, ottobre ha mostrato un volto sempre meno prevedibile, alternando lunghi periodi quasi primaverili a improvvisi affondi freddi, piogge torrenziali a ondate di vento caldo di scirocco. Il mese che un tempo era sinonimo di stabilità — il più "mitologico" per il cercatore tradizionale — oggi si è fatto capriccioso, discontinuo, incapace di offrire certezze. Il bosco, pur nella sua sapienza millenaria, fatica ad adattarsi con prontezza a questi strappi meteorologici. La risposta micologica, di conseguenza, si fa discontinua, intermittente, locale. Il fungo, che ama la transizione, rifugge però la contraddizione. E nel caos di un clima sempre più irregolare, tende a ritirarsi. Ecco perché, in ottobre, non basta più consultare il calendario o inseguire l’ultima pioggia. Il cercatore esperto, l’osservatore autentico, sa che ogni stagione è diversa, ogni quota una storia a sé, ogni versante una possibilità. Bisogna osservare la forma delle foglie — se cadono facilmente o restano coriacee —, toccare la consistenza del muschio — se trattiene l’acqua o si sbriciola sotto le dita —, misurare l’odore del suolo al mattino — se sa di terra viva o di polvere bagnata. Occorre leggere i segnali sottili, fidarsi dell’intuito, ma anche dell’esperienza sedimentata anno dopo anno, e accettare che i funghi non rispondono a desideri, ma a leggi ecologiche profonde e invisibili.

Ottobre, in questo 2025, è un mese in bilico. Ha le carte in regola per sorprendere, ma non promette nulla; può ancora regalare emozioni a chi sa interpretarlo, senza pretese. I funghi, come sempre, premiano la pazienza, la conoscenza, e soprattutto la capacità di ascolto. Chi saprà farsi parte del bosco, e non semplice visitatore, avrà ancora la sua stagione.

Anche se forse non sarà quella che si aspettava.

Faggeta appenninica nel cuore del mese di ottobre, con la presenza di Boletus edulis.

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