Dal like al bosco: le regole e il rispetto dei Funghi

Negli ultimi vent’anni il rapporto fra l’uomo e il bosco è cambiato più di quanto sia avvenuto nei secoli precedenti. Non si tratta solo di nuove tecniche di coltivazione o di studi scientifici, ma di un cambiamento profondo nella percezione collettiva della natura. I social network, i forum specializzati, i portali di informazione micologica hanno reso immediatamente accessibile un sapere che un tempo si tramandava lentamente, da padre in figlio o attraverso i rari libri illustrati che circolavano nelle biblioteche di paese. Oggi chiunque, con un telefono in mano, può confrontare in pochi secondi la fotografia di un fungo appena trovato con decine di immagini di riferimento, leggere articoli sulla sua ecologia, conoscere le leggi che regolano la raccolta in una determinata regione. Questa abbondanza di dati, se ben usata, può essere una risorsa preziosa. Ma la sfida vera comincia quando si esce di casa, perché il bosco non è un’estensione del mondo virtuale: ha tempi e necessità che non si piegano alla velocità delle notifiche.

In passato, la scarsa diffusione di nozioni scientifiche e l’assenza di una coscienza ecologica portavano a comportamenti che oggi appaiono inaccettabili. Chi si avventurava nel bosco lo faceva spesso con l’unico obiettivo di riempire il cesto di specie commestibili, senza interrogarsi sul valore di ciò che non avrebbe trovato posto in cucina. Funghi velenosi, o semplicemente non apprezzati, venivano spezzati, calpestati, gettati lontano, come se la loro presenza fosse un ostacolo alla buona riuscita della giornata. Non era cattiveria, ma una mentalità ancorata all’idea che nel bosco “conti” solo ciò che nutre l’uomo. Oggi sappiamo che persino l’Amanita più tossica per noi può essere fondamentale per la salute di un ecosistema, che un cortinario dai colori vivaci nutre insetti specializzati, che una vecchia Russula in decomposizione è una banca di spore per le generazioni future. Rompere un fungo solo perché non lo si mangia significa interrompere un ciclo naturale di cui beneficiano decine di altre forme di vita. Questo passaggio, dal criterio utilitaristico alla consapevolezza ecologica, è il cuore della raccolta responsabile.
La consapevolezza, però, non si esprime soltanto in ciò che scegliamo di non toccare: è un atteggiamento complessivo, che riguarda anche il modo in cui ci muoviamo fra gli alberi. Il terreno boschivo è un intreccio complesso di radici, micelio, lettiera e humus. Ogni passo affonda in un equilibrio delicato. Muoversi senza attenzione, calpestare ripetutamente le stesse zone, spostare tronchi o pietre per “vedere sotto” significa alterare quell’assetto invisibile. Il micelio, che è la vera “pianta” del fungo, vive a pochi centimetri sotto la superficie e può essere danneggiato da pressioni eccessive o ferite dirette. Per questo, la raccolta consapevole inizia ben prima di piegarsi per recidere un porcino: comincia nel momento stesso in cui varchiamo la soglia del bosco.

Emulare le trasgressioni
Ci sono comportamenti che la modernità ha reso più frequenti e che meritano una riflessione. Uno di questi è l’abitudine di entrare nel bosco di notte. Alimentata dall’idea di “anticipare” gli altri cercatori o di vivere un’esperienza più avventurosa, la ricerca notturna, ancorché vietata per legge, comporta però un impatto ecologico notevole. Le torce, i fari e i rumori alterano la vita della fauna che si muove e caccia al buio. I rapaci notturni, come il barbagianni, il gufo reale o l’allocco, sono sensibili alla presenza di luci improvvise; i piccoli mammiferi cambiano itinerario o interrompono le attività di foraggiamento; perfino gli insetti notturni, attratti o disorientati dalle luci artificiali, vedono alterati i loro cicli. La raccolta consapevole è anche un rispetto per i ritmi naturali, che sono molto più antichi delle nostre abitudini.

Il contatto diretto con il bosco dovrebbe essere sempre accompagnato da un atteggiamento di osservazione lenta. Un tempo, il cercatore esperto era colui che sapeva “leggere” il bosco, intuire dalla disposizione delle felci o dall’umidità del muschio se in un determinato punto potesse esserci un fungo. Oggi, con la facilità di accesso alle segnalazioni online, il rischio è quello di affidarsi solo alle indicazioni digitali, dimenticando che il bosco cambia continuamente e che due luoghi identici in fotografia possono essere, nella realtà, diversissimi per esposizione, composizione del suolo o microclima. Il rispetto passa anche dalla rinuncia a “forzare” il bosco nei giorni sbagliati: se la pioggia non è caduta abbastanza, se la terra è secca, entrare comunque, calpestando e sollevando zolle, significa sottrarre energia senza che il bosco abbia nulla da offrire.
La quantità
Non meno importante è il modo in cui gestiamo ciò che portiamo via. Le leggi regionali stabiliscono limiti di quantità per evitare che la raccolta impoverisca eccessivamente l’ambiente, ma entro quei limiti è la selezione a fare davvero la differenza. Raccogliere esemplari troppo giovani impedisce loro di completare lo sviluppo e disperdere le spore; prelevare funghi ormai prossimi alla decomposizione sottrae al bosco una preziosa riserva di nutrienti destinata a rientrare nel ciclo naturale. Ogni volta che ci chiniamo, dovremmo chiederci con onestà: questo fungo serve più a me o al bosco? La risposta, se sincera, orienterà le nostre scelte. E va detto senza ipocrisia: nei momenti di grande abbondanza, non sarà certo un chilo in più a compromettere l’equilibrio del bosco; molto più dannoso è togliere dieci giovani fruttificazioni ancora immature. Ciò che conta davvero non è tanto il numero preciso, quanto l’approccio con cui si raccoglie: un atteggiamento rispettoso e non predatorio, capace di garantire che il bosco continui a offrire i suoi frutti anche in futuro. Molti appassionati hanno imparato, negli ultimi anni, a riconoscere l’importanza di lasciare in loco anche funghi commestibili quando sono presenti in habitat sensibili o in numero limitato. Le zone di alta quota, per esempio, hanno cicli di crescita più lenti, e la rimozione di pochi esemplari può avere un impatto significativo sulla dispersione sporale. Allo stesso modo, i funghi che crescono su legno morto partecipano a un processo di decomposizione che rilascia elementi essenziali per il suolo; prelevarli in massa significa rallentare un ciclo chimico complesso e prezioso.

Un approccio a 360°
La raccolta consapevole non riguarda solo i funghi: è un approccio all’intero ambiente. Significa evitare di lasciare rifiuti, ma anche di introdurre materiali non naturali, come sacchetti di plastica o contenitori non traspiranti, che oltre a rovinare i funghi raccolti possono danneggiare altri organismi. Significa non accendere fuochi, non rompere rami senza motivo, non incidere cortecce per lasciare un segno del proprio passaggio. Ogni ferita al bosco si somma alle altre, e spesso il danno è irreversibile su scale di tempo umane. La componente normativa è un capitolo a parte, che ai più potrà far strizzare il naso. La legge quadro nazionale, insieme ai regolamenti regionali, stabilisce regole precise sulla raccolta, dal possesso di un tesserino (sul quale a parte, si potranno delineare diverse opinioni) alle modalità di trasporto, che deve avvenire in contenitori rigidi e areati per permettere la caduta delle spore. Queste norme non sono meri formalismi burocratici, ma il frutto di decenni di esperienza nella gestione delle risorse naturali. Chi le rispetta contribuisce a un equilibrio collettivo, chi le ignora sottrae al bosco più di quanto riceve.
Tutto questo porta a una conclusione semplice ma non banale: il bosco non ha bisogno di noi, siamo noi ad aver bisogno di lui. La raccolta consapevole è un atto di gratitudine, una restituzione simbolica per ciò che riceviamo. Le fotografie e le condivisioni online possono ispirare, insegnare, persino creare una comunità di rispetto. Ma senza coerenza tra ciò che scriviamo e ciò che facciamo, ogni parola perde valore. Portare nel bosco la stessa cura che mostriamo nelle discussioni sui social significa compiere il passo decisivo verso una cultura micologica matura. Il bosco, a differenza della rete, non conosce l’immediatezza. Ciò che seminiamo oggi, non solo in termini di piante, ma di comportamenti, lo vedremo fra anni. Noi, o i nostri figli e nipoti. Un cercatore consapevole sa che ogni fungo lasciato, ogni passo leggero, ogni silenzio mantenuto sono investimenti invisibili, ma reali, nel futuro della sua passione. Ed è in questa lentezza, in questo saper attendere, che si misura la vera conoscenza del bosco.