Neve e Funghi, una relazione affascinante

Neve e Funghi, una relazione affascinante
La neve, spesso considerata una barriera naturale per la crescita dei funghi, svolge in realtà un ruolo cruciale nel ciclo vitale del micelio e nella futura produzione di specie fungine. Analizziamo in dettaglio come la neve influisce sul sottobosco e quali implicazioni ha per la crescita dei funghi, in particolare quelli primaverili.

L'Italia, con la sua complessa orografia e varietà climatica, presenta una distribuzione delle nevicate che varia significativamente da nord a sud e tra le diverse catene montuose. Le Alpi, situate al confine settentrionale, ricevono generalmente nevicate abbondanti durante i mesi invernali, fungendo da barriera alle correnti umide provenienti dall'Atlantico. Tuttavia, anche gli Appennini, che attraversano longitudinalmente la penisola, possono registrare accumuli nevosi considerevoli, talvolta superiori a quelli alpini, specialmente in particolari condizioni meteorologiche. Questa variabilità nelle precipitazioni nevose influisce direttamente sulla disponibilità di acqua nel suolo, fondamentale per il ciclo vitale del micelio e la successiva fruttificazione dei Funghi. Le nevicate abbondanti, seguite da un disgelo graduale, garantiscono un rilascio costante di umidità nel terreno, creando condizioni ottimali per la crescita di diverse specie fungine nelle stagioni successive.

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È importante sottolineare che, oltre alla quantità di neve, la distribuzione temporale delle precipitazioni e le condizioni climatiche post-disgelo giocano un ruolo cruciale nel determinare l'abbondanza e la varietà delle specie fungine presenti in una determinata area. Pertanto, monitorare le condizioni meteorologiche su 3B Meteo e comprendere le dinamiche climatiche locali è essenziale per prevedere e favorire la crescita dei funghi sul territorio italiano.
Boletus pinophilus, fungo porcino nella neve; foto di Nicolò Oppicelli
Quanto la nevicata precoce, imbianca gli ultimi porcini dell'autunno (Boletus pinophilus)

Nutrimento e struttura

Uno dei proverbi contadini più noti recita: “Sotto la neve, pane; sotto la pioggia, fame”. Questa antica saggezza si può applicare anche al Regno dei Funghi. Durante l'inverno, la neve agisce come una coperta isolante che protegge il terreno e i miceli dalle gelate più intense. Grazie alla sua capacità di mantenere una temperatura costante nel sottosuolo, la neve impedisce che il freddo eccessivo danneggi il micelio, preservando le sue strutture vitali. Inoltre, al momento del disgelo, l'acqua derivante dallo scioglimento della neve penetra lentamente nel terreno, garantendo un'umidità prolungata e graduale, essenziale per riattivare i processi biologici del sottobosco. Ma oltre a questo, la neve non è solo una fonte di acqua, ma funge anche da veicolo per il trasporto di minerali e nutrienti depositati nell'atmosfera. Durante il suo accumulo e scioglimento, rilascia lentamente sostanze come azoto e solfati, arricchendo il suolo e favorendo la crescita di microrganismi essenziali per la decomposizione della materia organica. Questi processi alimentano il micelio fungino, che, a sua volta, può comportarsi come decompositore della materia organica (lettiera di foglie, tronchi, etc.) o attivando le simbiosi micorriziche con le radici delle piante, favorendone l'assorbimento di nutrienti. L'acqua proveniente dal disgelo aiuta anche a riorganizzare la struttura del terreno, favorendo la porosità e facilitando l'aerazione, condizioni indispensabili per lo sviluppo del micelio e delle radici vegetali.

Sarcoscypha austriaca, un ascomicete invernale che fruttifica sui residui organici di latifoglie.

Questione di altitudine?

Dalle colline ai crinali montuosi, ogni fascia altitudinale presenta condizioni climatiche e ambientali uniche, modellando la distribuzione delle specie vegetali e fungine. Se alle basse quote la neve è spesso effimera e si alterna alla pioggia, alle medie e alte quote essa diventa una riserva idrica essenziale, capace di alimentare miceli e piante attraverso un lento rilascio di umidità durante il disgelo.
Nelle aree di bassa quota, la neve è meno persistente e spesso si alterna a piogge durante l’inverno. Questo crea un ambiente dinamico, caratterizzato da un rapido riscaldamento del terreno al disgelo. La combinazione di umidità residua e temperature miti favorisce la crescita precoce di specie fungine come Marasmius oreades (gambesecche), che sfruttano l’umidità della rugiada e del suolo; e Macrolepiota procera (mazza di tamburo), che si sviluppa su terreni ben drenati e ricchi di materia organica. Anche le latifoglie che popolano queste fasce altitudinali, come querce e castagni, traggono beneficio dall’acqua rilasciata dal disgelo, sostenendo i funghi simbionti micorrizici come Boletus aestivalis e Russula vesca, precoci e particolarmente adattati a queste condizioni.
Nelle fasce di media quota (sino a 1.400 metri), la neve può persiste più a lungo, formando uno strato isolante che protegge il suolo da gelate profonde. Questo ambiente favorisce la presenza di alberi come faggi, abeti rossi e abeti bianchi, che sviluppano radici superficiali capaci di assorbire l’umidità rilasciata lentamente dal disgelo; per tale motivo, in genere, un buon manto nevoso favorirà la comparsa in estate di funghi simbionti micorrizici di grande interesse, come Boletus edulis e Cantharellus cibarius. Le condizioni climatiche di questa fascia altitudinale favoriscono anche la presenza di caratteristiche specie primaverili, come il fungo dormiente o Hygrophorus marzuolus, capace di emergere non appena il suolo si libera dalla copertura nevosa, approfittando della stabilità idrica mantenuta dalla neve. Alle quote più elevate, le nevicate sono abbondanti e prolungate, spesso formando uno spesso strato che protegge il terreno dalle escursioni termiche estreme. Qui la neve agisce come un serbatoio idrico fondamentale, rilasciando acqua gradualmente con l’avanzare della stagione primaverile. In questo contesto, le specie vegetali dominanti, come larici e pini cembri, sono adattate a brevi finestre vegetative e dipendono fortemente dall’umidità derivante dal disgelo; in tal senso, alcune specie come il boleto del larice, laricino o Suillus grevillei, beneficiano di terreni umidi e ricchi di materia organica, derivante dalla decomposizione vegetale ritardata.

Funghi da Neve!

Quando il freddo inizia ad avvolgere boschi e radure e la neve ricopre il paesaggio, si potrebbe pensare che la stagione dei funghi sia giunta al termine. In realtà, alcune specie fungine hanno sviluppato straordinarie capacità di adattamento alle basse temperature, riuscendo non solo a sopravvivere, ma anche a fruttificare in condizioni che per altri organismi sarebbero proibitive. Tra queste spiccano la Flammulina velutipes e il Pleurotus ostreatus, due specie eduli ben rappresentate nel cuore della biodiversità della nostra Penisola.

Flammulina velutipes: il "fungo dell'inverno"
Nota come "collibia vellutata", "pioppino d’inverno" (o, commercialmente, enokitake), Flammulina velutipes è una specie che si distingue per la capacità di fruttificare durante i mesi più freddi, spesso anche dopo leggere nevicate. Si trova tipicamente sui tronchi di pioppi, salici e altri alberi decidui, formando gruppi cespitosi dal cappello dal colore giallo-aranciato che risalta vivacemente nel paesaggio invernale; è considerata commestibile (dopo cottura), dalle discrete qualità organolettiche. Questa specie possiede una notevole resistenza al gelo, che le consente di fruttificare anche in condizioni climatiche rigide. Questo adattamento è attribuito alla presenza di specifiche proteine antigelo (AFP, Antifreeze Proteins) nei suoi tessuti. Le AFP inibiscono la crescita dei cristalli di ghiaccio all'interno delle cellule, prevenendo danni strutturali e mantenendo l'integrità cellulare anche a basse temperature. E quando la neve si scioglie, l’acqua rilasciata favorisce il proseguimento della crescita, mantenendo l’ambiente umido e stabile. La Flammulina velutipes, quindi, sfrutta le temperature basse come una sorta di protezione naturale contro i parassiti e la competizione con altre specie fungine, che entrano in quiescenza nei periodi freddi.

Flammulina velutipes - foto di Zdenka Kryspínová
Flammulina velutipes nella sua elegante veste della stagione invernale.

Pleurotus ostreatus: il gelone del bosco
Uno dei nomi popolari italiani del Pleurotus ostreatus è gelone, un appellativo che richiama le sue condizioni ottimali di crescita, caratterizzate da temperature basse e dalla capacità di resistere persino a leggere nevicate. Si sviluppa prevalentemente su tronchi caduti o ceppi in decomposizione, trovando nelle foreste di latifoglie e nelle zone umide il suo habitat ideale. Questo fungo, oltre ad adattarsi al freddo, riesce a sfruttare la neve come riserva d’acqua per sostenere la sua crescita lenta e costante. Grazie alla sua capacità di tollerare sbalzi termici, il Pleurotus ostreatus (conosciuto a livello commerciale anche come "orecchione" o fungo ostrica), può persistere per settimane senza perdere consistenza o qualità. Ed è proprio questa resistenza che gli ha conferito un ruolo importante nell’alimentazione umana, rendendolo uno dei funghi più coltivati al mondo.

Pleurotus ostreatus su tronco di pioppo, dopo una abbondante nevicata invernale.

Neve e funghi in primavera

La neve rappresenta altresì una risorsa preziosa per molte specie fungine primaverili, grazie alla sua capacità di conservare l’umidità e proteggere il suolo durante l’inverno. Con il disgelo, l’acqua rilasciata gradualmente crea un ambiente perfetto per la fruttificazione di diversi funghi, spesso tra i primi a comparire non appena si entra nel loro range di temperatura ideale allo sviluppo. In tal senso, veri partner dello strato nevoso sono i funghi dormienti o marzuoli, Hygrophorus marzuolus; chiamati così per la loro comparsa precoce, spesso mentre nei boschi sono ancora presenti residui di neve, i dormienti si sviluppano in terreni freschi e umidi, prevalentemente nei boschi di conifere (pino silvestre, abete bianco), sovente frammisti a castagni e faggi, a quote medio-alte; più schivi e rari in altri contesti ambientali. Quest'ottimo fungo commestibile, beneficia del ruolo protettivo e della lenta cessione d’acqua al terreno da parte del manto nevoso, che di fatto funge più da regolatore del microclima che da scudo contro eventuali gelate tardive, poiché il nostro fungo dormiente o marzuolo si sviluppa in condizioni climatiche che, seppur fresche, sono ormai stabilizzate (in genere da febbraio a maggio). Sempre nel contesto primaverile, le spugnole (Morchella spp.), tra i funghi più ricercati in primavera, prosperano in terreni umidi e ricchi di sostanza organica. Lo scioglimento della neve favorisce la loro comparsa nei boschi di frassini, olmi, salici, noccioli e lungo i margini dei torrenti, dove il suolo trattiene l’umidità per un periodo prolungato; sovente sono anticipate dalla comparsa della curiosa Verpa bohemica. Entrambe le specie si dimostrano però particolarmente sensibili all’alternanza tra temperature miti e fresche, tipiche del periodo successivo al disgelo, e condizioni ai limiti sia in un senso, sia verso l'altro, possono inficiarne le fruttificazioni. Particolarmente ricercati e apprezzati sono anche i funghi prugnoli, spinaroli o funghi di San Giorgio, Calocybe gambosa; prediligono fruttificare in zone prative o nelle radure boschive dove il disgelo lascia depositi di umidità nel suolo. Le zone prative con una buona esposizione al sole, ma al contempo protette da venti asciutti, sono particolarmente favorevoli alla crescita primaverile di questa specie: qui, l’acqua rilasciata dal disgelo non evapora rapidamente, ma viene trattenuta dal suolo grazie alla presenza di sostanza organica e apparati radicali che ne migliorano la capacità di assorbimento.

Hygrophorus marzuolus, foto di Nicolò Oppicelli
Hygrophorus marzuolus, il fungo edule più rappresentativo del disgelo primaverile.

E quando nevica in Ottobre?

Negli ultimi anni, le nevicate precoci in ottobre sono diventate eventi rari, limitandosi generalmente alle quote più elevate delle Alpi, solitamente al di sopra dei 1800-2000 metri. Questo cambiamento climatico ha un impatto significativo sulla crescita dei funghi tardivi, come i porcini. Il manto nevoso precoce può interrompere bruscamente la fruttificazione di queste specie, arrestando il loro sviluppo e riducendo le opportunità di nuove raccolte per gli appassionati. I funghi esposti a gelate subiscono danni strutturali a livello cellulare a causa della formazione di cristalli di ghiaccio all’interno dei tessuti. Questo processo provoca la rottura delle pareti cellulari, compromettendo la consistenza e rendendoli molli e acquosi al disgelo. Una volta alterata la loro struttura, i funghi diventano più vulnerabili alla proliferazione di batteri e muffe, accelerando i processi di decomposizione e rendendoli potenzialmente pericolosi per il consumo, analogamente agli alimenti che subiscono cicli di congelamento e scongelamento non controllati; pertanto, è consigliabile evitare la raccolta e il consumo di funghi che mostrano segni di congelamento o deterioramento.

Boletus edulis congelato, in seguito a una forte nevicata sull'Appennino in Novembre.

Negli ultimi anni, le nevicate precoci in ottobre sono diventate eventi sempre più sporadici, relegati perlopiù alle quote più elevate delle Alpi, generalmente oltre i 1800-2000 metri, e ai rilievi appenninici al di sopra dei 1500 metri. Secondo i dati elaborati dal progetto dedicato alla biodiversità micologica di 3B Meteo, lo studio delle dinamiche climatiche recenti evidenzia come le precipitazioni nevose autunnali risultino oggi più irregolari, spesso legate a brevi incursioni di aria fredda seguite da repentini rialzi termici. Questo andamento discontinuo riflette gli effetti tangibili del cambiamento climatico, che sta alterando i ritmi naturali del sottobosco e influenzando in modo diretto il ciclo biologico di molte specie fungine. L’impatto di queste trasformazioni è evidente soprattutto nella fruttificazione dei funghi tardivi, come i sanguinelli (Lactarius deliciosus), le specie della famiglia delle Hygrophoraceae e numerose entità da studio, ma l'impatto si riflette anche nello sviluppo dei funghi porcini autunnali, la cui crescita è strettamente legata all’equilibrio tra umidità e temperature moderate. Se da un lato il riscaldamento climatico può prolungare la stagione vegetativa e favorire fruttificazioni tardive, dall’altro la scarsità di neve precoce e le brusche variazioni termiche possono innescare stress idrici nel suolo o improvvisi periodi di gelo, interrompendo il ciclo di crescita. I porcini, che spesso fruttificano fino a novembre nelle aree collinari e montane, risentono particolarmente di queste condizioni instabili: privati del naturale apporto d’acqua precipitativa o sottoposti a gelate improvvise, possono arrestare completamente il loro sviluppo o presentarsi in quantità esigue e di qualità compromessa. E se questo vale per i porcini, il cui corpo fruttifero mostra una certa resistenza alle intemperie, è facile immaginare quanto le specie fungine più delicate possano risentire ancor di più delle attuali condizioni climatiche. Ciò che stiamo osservando oggi lascia presagire che anche i funghi dovranno presto confrontarsi con sfide climatiche sempre più complesse e imprevedibili.

Porpolomopsis calyptriformis, specie molto sensibile agli sbalzi climatici del tardo autunno.

Per chi si avventura nei boschi in cerca di funghi, soprattutto nelle aree di alta quota, è fondamentale monitorare attentamente le previsioni meteorologiche fornite da fonti autorevoli come 3B Meteo. Un rapido abbassamento delle temperature seguito da precipitazioni nevose può alterare drasticamente le condizioni del terreno, rendendo più difficile la raccolta e aumentando il rischio di trovare funghi danneggiati dal gelo. La neve, pur rappresentando un elemento essenziale per il ciclo idrico e la biodiversità del sottobosco, può trasformarsi in un limite naturale per la crescita di specie tardive come i porcini, lasciando spazio alle varietà primaverili che beneficeranno dell’umidità accumulata nei mesi freddi.

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