Licheni e funghi, pionieri dei ghiacciai che si ritirano

Dal 2023 3Bmeteo sceglie ogni anno una destinazione sulla Terra con lo scopo di documentare e divulgare gli effetti del cambiamento climatico e dell'attività umana. Per documentare in prima persona questi impatti, 3BMeteo ha lanciato "Missione Italia", un tour attraverso le diverse sfaccettature del territorio nazionale, dalle vette alpine ai litorali marini, passando per le aree urbane e rurali.
Negli ultimi decenni i ghiacciai italiani hanno subito un restringimento progressivo, documentato da rilevamenti topografici, immagini satellitari e confronti fotografici che non lasciano spazio a dubbi. Si stima che, dall’inizio del XX secolo, la superficie glaciale delle Alpi si sia ridotta di oltre il 60%, con accelerazioni particolarmente evidenti a partire dagli anni Ottanta. Il riscaldamento climatico globale, che alle alte quote procede con intensità quasi doppia rispetto alle medie planetarie, non solo riduce i volumi di ghiaccio, ma cambia radicalmente le tempistiche di fusione stagionale e il regime idrico dei bacini montani. Ma l’arretramento delle lingue glaciali non è soltanto una perdita paesaggistica o idrologica: spalanca le porte a un fenomeno ecologico che merita di essere osservato con attenzione: nei luogi dove il ghiaccio si ritira, infatti, compare un paesaggio minerale di rocce spoglie, sedimenti mobili e morene instabili, che a prima vista può apparire un regno inospitale, incapace di sostenere qualsiasi forma di vita. Eppure, è proprio su queste superfici che si attiva uno dei processi più lenti e affascinanti della natura: la colonizzazione pioniera.

I licheni sono i primi a colonizzare le zone in cui i ghiacciai si ritirano, trasformando un deserto minerale in un terreno che, nel tempo, potrà ospitare nuova vita. Quando la lingua glaciale si assottiglia e lascia emergere superfici rimaste celate sotto il ghiaccio per secoli, sono proprio questi organismi discreti a insediarsi per primi, inaugurando un processo di colonizzazione che può durare decenni. Frutto di un'antichissima simbiosi tra un fungo e un'alga microscopica o un cianobatterio, i licheni sono in grado di fissare il carbonio atmosferico grazie alla fotosintesi e di accumulare nutrienti preziosi, indispensabili per gli stadi successivi della successione ecologica. Alcune specie crostose, come quelle dei generi Rhizocarpon, Xanthoria e Lecanora, formano incrostazioni compatte che aderiscono tenacemente alla roccia e tollerano sbalzi termici vertiginosi e livelli di radiazione ultravioletta che poche altre forme di vita saprebbero sopportare. Tra queste, Rhizocarpon geographicum, uno fra i più diffusi sulle nostre Alpi, si distingue per le colonie verdastre delimitate da bordi neri che disegnano sulla pietra figure simili a carte geografiche. La sua presenza non è solo un ornamento naturale, ma indica anche che la superficie è rimasta libera dal ghiaccio per un periodo di tempo sufficiente a permettere una colonizzazione stabile.

Proprio per questo motivo, Rhizocarpon geographicum è considerato un indicatore cronologico di precisione: la lichenometria, infatti, è una scienza che si basa sul rilevamento del diametro delle sue colonie per stimare da quanto tempo una roccia è affiorata dai ghiacci.
Pionieri e disgregatori
La presenza dei licheni in questi contesti, però, non è solo decorativa. I licheni producono acidi organici che intaccano la roccia, liberando minerali e avviando un lento processo di alterazione chimica e fisica. Con il passare degli anni, si forma una patina sottile di particelle minerali mescolate a residui organici: un velo primordiale che trattiene l’umidità e crea le condizioni perché attecchino i muschi e le prime piccole piante vascolari. È in questa trama iniziale, quasi invisibile, che si preparano i presupposti per la trasformazione di un ambiente sterile in un ecosistema vivo. Con l’espansione delle colonie, la superficie rocciosa si frammenta progressivamente, favorendo la ritenzione di acqua di fusione e creando microhabitat in cui iniziano a insediarsi i primi funghi saprotrofi e le radici embrionali di specie erbacee pioniere, come il ranuncolo glaciale (Ranunculus glacialis) e diverse specie di salici nani (Salix retusa, Salix herbacea). In questi processi lenti ma inesorabili, seppur accelerati dal riscaldamento climatico si cela la matrice della rinascita alpina, alimentata dal ritiro dei ghiacciai e dalla forza discreta degli organismi più umili. E sempre accanto ai licheni, i funghi svolgono ruoli meno appariscenti ma non meno determinanti. Se i licheni si manifestano in croste e colori chiari, i miceli fungini, in maniera silenziosa e invisibile, colonizzano le microfessure delle rocce e i primi strati di sedimento. Alcune specie micorriziche iniziano fin da subito a stabilire relazioni sottili con le radici delle piante erbacee che sopraggiungono, creando una prima rete di scambio di nutrienti. Altre specie fungine svolgono funzioni saprotrofe, deponendo enzimi che decompongono la materia organica e contribuiscono alla formazione del suolo. E quando le condizioni di umidità lo permettono, emergono i primi piccoli sporofori: segni discreti ma inequivocabili che la successione ecologica è già in corso.

Quanto tempo occorre perché un lichene colonizzi una roccia liberata dal ghiacciaio?
La colonizzazione di una superficie appena esposta dal ritiro glaciale è un processo sorprendentemente lento, che si misura in decenni. I licheni crostosi, come Rhizocarpon geographicum, iniziano a stabilirsi solo dopo alcuni anni dall’affioramento della roccia, quando l’umidità atmosferica e le polveri trasportate dal vento offrono condizioni minime di attecchimento. In genere, occorrono dai 5 ai 10 anni perché compaiano le prime microcolonie visibili a occhio nudo. La crescita, poi, è estremamente contenuta: Rhizocarpon si espande in media di 0,3–0,5 millimetri all’anno, anche meno in alta quota, dove le temperature sono più rigide e le stagioni vegetative molto brevi. Per coprire un sasso di pochi centimetri con un mosaico completo di colonie mature possono essere necessari oltre 30, 50, ma anche 70 anni. È proprio questa lentezza a rendere i licheni strumenti preziosi di datazione: la dimensione delle loro colonie racconta con sorprendente precisione da quanto tempo una superficie è emersa dal ghiaccio. La roccia che oggi appare spoglia diventerà, con la pazienza di intere generazioni di licheni, la base di un futuro tappeto vegetale.

La foresta che avanza
Là dove il ghiaccio si ritira, la vita intraprende un processo di riconquista lento, paziente e inesorabile. Questo fenomeno di ricolonizzazione può richiedere decenni o interi secoli, ma è uno degli esempi più evidenti di resilienza ecosistemica in ambiente alpino. Le microselve che si delineano lungo le linee di ritiro glaciale costituiscono un laboratorio naturale straordinario, in cui osservare come la biodiversità torni a popolare territori rimasti per millenni imprigionati sotto la coltre glaciale. Come abbiamo evidenziato in precedenza, ogni organismo pioniere rappresenta una strategia di adattamento distinta e complementare: i licheni crostosi colonizzano le superfici nude, sfidando la siccità e le radiazioni estreme; i muschi trattengono l’umidità e iniziano a intrappolare particelle fini; le prime piante erbacee consolidano il suolo ancora instabile; i funghi intrecciano reti invisibili di decomposizione e simbiosi che arricchiscono progressivamente la materia organica. Col passare dei decenni, quando la roccia si trasforma in un substrato più profondo e coerente, si affacciano le specie arbustive più robuste. I rododendri, con le loro radici capaci di insinuarsi tra pietre e sedimenti, segnano l’inizio di un consolidamento più strutturato. Gli ontani verdi (Alnus viridis) colonizzano le superfici più stabili, contribuendo alla fissazione dell’azoto atmosferico e incrementando la fertilità del terreno. Infine, nelle aree dove l’accumulo di suolo raggiunge uno spessore adeguato, compaiono i primi giovani larici (Larix decidua), le cui chiome, seppure rade, annunciano la lenta trasformazione di un "deserto minerale" fatto di pietre, in un bosco embrionale.
Anteprima a bassa risoluzione del video dedicato ai licheni che colonizzano le rocce liberate dai ghiacciai in ritiro, con Nicolò Oppicelli. Riprese a cura di Isacco Emiliani per 3BMeteo - Progetto Italia, realizzato il 14 Luglio 2025.
Gli "effetti "a cascata"
L’arretramento dei ghiacciai produce effetti che si propagano ben oltre il margine della fronte glaciale. L’instabilità geomorfologica, l’alterazione dei regimi idrici e la frammentazione progressiva degli habitat incidono sulla biodiversità alpina in modo profondo e, in alcuni casi, irreversibile. La scomparsa del ghiaccio permanente modifica il microclima delle valli superiori, riduce l’apporto idrico alle torbiere e ai ruscelli di fondovalle e aumenta la frequenza di fenomeni di dissesto, come frane e colate detritiche. Eppure, anche in questa dinamica di perdita e rigenerazione si cela un messaggio di tenacia. Dove la massa glaciale si ritrae, la vita avanza con perseveranza, un centimetro alla volta. La colonizzazione dei substrati appena liberati non si limita alle piante e ai funghi: accanto ai primi licheni crostosi, compaiono piccole comunità di microfauna. Acari, collemboli, tardigradi e minuscoli crostacei terrestri iniziano a popolare gli interstizi umidi tra i granelli di sedimento, svolgendo un ruolo discreto ma fondamentale nella frammentazione della materia organica e nella formazione del primo suolo. Anche insetti pionieri, come alcuni coleotteri carabidi e ditteri, sfruttano questi microhabitat effimeri per nutrirsi o riprodursi, alimentando la catena alimentare embrionale che accompagnerà la successione vegetale e fungina. Nei versanti più ripidi e nelle conche sopra le morene, animali già adattati alle alte quote -come gli stambecchi, che si spingono sulle rocce più esposte, o l’aquila reale, che sorvola queste vallate alla ricerca di prede- continuano a trovare rifugi e territori di caccia, pur in un paesaggio in rapida evoluzione. Con il progredire della vegetazione erbacea e la formazione dei primi prati alpini, nuove specie si faranno strada: le marmotte colonizzeranno i pendii stabilizzati, creando tane nei depositi morenici più consolidati, e piccoli roditori si insedieranno tra le pietraie. È un mosaico dinamico di pioniere e colonizzatori che, insieme, riscrive la geografia biologica delle alte quote.

In questo scenario di trasformazione, osservare i licheni pionieri, i funghi delle microselve, i primi arbusti e la microfauna che si insedia significa riconoscere i segni concreti del cambiamento climatico e comprendere come i processi ecologici si dispieghino, con lentezza e determinazione, davanti ai nostri occhi. La biodiversità alpina si riscrive sui sedimenti glaciali, in un racconto paziente che, partendo dagli organismi più umili, prepara il terreno a nuovi equilibri e a una foresta che, un giorno, tornerà a crescere. Se i ghiacciai ci parlano di un passato che si ritira, i licheni, i funghi, i rododendri e i primi larici raccontano un futuro che avanza, silenzioso ma inarrestabile. Nelle trame di queste colonie pioniere si custodisce la promessa che la vita, anche quando sembra ridotta all’essenziale, è sempre pronta a riprendersi il suo spazio. E proprio per questo, raccontare e documentare questi cambiamenti rientra nella missione che 3B Meteo porta avanti ogni giorno: osservare, misurare e divulgare i segni del clima che cambia, perché comprenderli è il primo passo per proteggere la nostra montagna, il nostro territorio e il nostro futuro.