I Funghi e il Giro d'Italia

I Funghi e il Giro d'Italia
Ricostruzione grafica del "pensiero ricorrente" di un tifoso appassionato della ricerca di Funghi, ad ogni tornante di risalita del celebre Passo del Mortirolo, al Giro d'Italia.

Quando ero ragazzo, il Giro d’Italia – di cui oggi 3B Meteo è orgogliosamente partner ufficiale per le previsioni meteo – non era soltanto una corsa a tappe. Era un notiziario per immagini, una cronaca indiretta del paesaggio. Mentre i telecronisti si perdevano in analisi su scatti, pendenze e tempi parziali, io cercavo altro. Guardavo i valichi appenninici avvolti nella nebbia, osservavo l’inclinazione dei versanti esposti a nord, le foglie lucide d’acqua, il margine del bosco alla giusta altitudine. Se una tappa passava per il Casentino, e il cielo era velato sopra le faggete appena fogliate, capivo che lì, con notti miti e qualche pioggia discreta, nel giro di pochi giorni si sarebbero potuti affacciare i primi Boletus aestivalis della stagione. Il Giro era – ed è tuttora – una narrazione climatica, una sequenza di cartoline vegetali, un viaggio dentro l’Italia verde che cambia con l’altitudine, con la quota, con il mese. E chi ha l’occhio del cercatore, sa riconoscere questo racconto invisibile.

Salite iconiche e territori unici

Non tutte le grandi salite del Giro d’Italia sono interessanti per i funghi: molte delle più celebri – come lo Stelvio, il Gavia o il Colle delle Finestre – superano di slancio i 2.200 metri, zona in cui il bosco si assottiglia fino a scomparire, lasciando spazio a praterie alpine, pietraie e microselve relitte. In questi ambienti estremi, i funghi non mancano, ma si tratta spesso di specie adattate a condizioni marginali, anche se di notevole interesse scientifico per i micologi. Tuttavia, molte altre salite leggendarie o paesaggisticamente notevoli del Giro si sviluppano in fasce altitudinali perfette per la fruttificazione fungina, tra i 600 e i 2.000 metri, dove dominano faggete mature, castagneti vetusti, peccete e boschi misti: è lì che si racconta un'altra storia, più umile e sotterranea, quella della nascita dei funghi. Il Passo del Mortirolo, ad esempio, è temuto dai corridori per le sue pendenze proibitive, ma per il micologo osservatore è un passaggio prezioso. Salendo da Mazzo o da Monno, ci si addentra in fitte abetine interrotte da tratti di pino silvestre, incontrando anche faggete fresche, con suolo acido, ricco di aghi e lettiera ben decomposta. Se maggio è stato generoso di piogge e le temperature si sono mantenute stabili (sopra i 9-10 °C al suolo), si possono osservare i primi Boletus pinophilus della stagione, talvolta già da inizio giugno, soprattutto nei tratti più ombrosi e protetti dai venti secchi di foehn.

Una cartolina dalle foreste del Passo del Mortirolo.

Il Monte Nerone, nel cuore dell’Appennino umbro-marchigiano, è un mosaico di ambienti: si passa da castagneti da frutto in abbandono a querceti termofili, fino a faggete luminose e ventilate tra i 700 e i 1400 m. L’esposizione dei versanti, il drenaggio del terreno e la copertura arborea creano microclimi molto favorevoli allo sviluppo del micelio. È il regno di Boletus aestivalis, ma anche di Russula cyanoxantha e delle prime Amanita rubescens. Il Passo San Pellegrino, nelle Dolomiti fassane, è noto al grande pubblico per le sue spettacolari pendenze e i panorami su Pale e Lagorai. Dal punto di vista micologico, è interessante soprattutto sotto i 1.800 metri, dove le radure nei pressi delle abetaie alpine permettono l’osservazione di specie primaverili tardive e di transizione. In certe annate, si possono ancora trovare Hygrophorus marzuolus nei margini più ombrosi, Calocybe gambosa nei prati mesici, e i primissimi Boletus pinophilus nelle zone ben esposte ma ancora fresche, ai margini del bosco, a ricercare maggior irradiazione solare. Tra le salite più celebri per i ciclisti e anche suggestive dal punto di vista botanico-micologico c’è il Monte Zoncolan. Dal versante di Sutrio, il Giro attraversa castagneti, faggete e tratti di bosco misto tra 800 e 1400 metri: altitudini perfette per le fruttificazioni precoci di Boletus reticulatus, Russula e Amanita commestibili. Se le piogge d’inizio primavera sono state ben distribuite e non seguite da secche improvvise, nelle radure ai margini del bosco i primi funghi si affacciano nel silenzio. La temperatura notturna stabile sopra i 6 °C è un altro parametro da tenere sotto controllo: è spesso la soglia per l’avvio delle fruttificazioni simbionti in altitudine.

Le foreste sotto alle Pale di San Martino, luoghi sovente ripresi fra le iconiche salite del Giro.

Più a sud, l’Appennino centrale offre valichi che da soli valgono un atlante micologico. Il Passo delle Capannelle, che collega l’Aquilano al versante adriatico, è caratterizzato da faggete, praterie, pascoli e boschi misti di latifoglie; una zona dove le condizioni microclimatiche restano stabili anche in annate altalenanti. Nella zona di Forca di Cerro, tra Norcia e Leonessa, si alternano substrati calcarei e silicei che modulano in modo raffinato la distribuzione delle specie fungine, mentre Bocca Trabaria, tra Umbria e Marche, è forse il passaggio più “vergine” dal punto di vista forestale: vi si incontrano boschi misti ben conservati, poco soggetti a disturbi meccanici. Non si possono poi ignorare altre salite, meno celebri ma attraversate ciclicamente dal Giro, che rappresentano ambienti interessanti per la ricerca dei funghi, come il Passo della Calla e Valico della Croce ai Mori, nel Casentino, con le loro faggete vetuste e terreni acidi; il Passo del Cerreto, tra Lunigiana e Garfagnana, che ospita faggete fresche e castagneti produttivi dalla tarda primavera all'autunno inoltrato; il Monte Fumaiolo, al confine tra Romagna e Toscana, fra faggete e boschi di latifoglie misti; il Valico di Bocca Serriola, nel perugino, che attraversa boschi termofili misti di castagni, varie specie di querce e svariate latifoglie.

Porcini estivi; ritrovamento in una faggeta appenninica alla fine del mese di Maggio.

Molti di questi luoghi non sono soltanto “adatti” ai funghi: sono vere e proprie culle di equilibrio ecologico, ambienti dove il micelio si intreccia in silenzio al respiro del bosco. Non è solo questione di quota, ma di una sottile alchimia tra suolo, composizione forestale, umidità residua e penetrazione luminosa. Valichi come quelli attraversati in passato al Terminillo, al Monte Amiata, nei boschi del Passo del Bocco o lungo le rampe silenziose del Monte Penice e del Monte Giovo, celano sotto il nastro d’asfalto paesaggi micologici complessi, dove ogni curva racconta una storia vegetale. Guardare una salita con occhio micologico significa coglierne la fisiologia più intima: dove si raccoglie l’acqua dopo una pioggia notturna? Dove il sole scalda il mattino senza seccare il sottobosco? Quali versanti trattengono la frescura e quali filtrano l’umidità? Dove il vento si placa e il tappeto di foglie non viene sconvolto? Sono queste le domande che accompagnano il cercatore esperto, molto prima che il primo fungo si mostri. È in quella lettura invisibile del paesaggio che si anticipa la nascita: un gesto di osservazione, prima ancora che di raccolta.

Una visuale dei pascoli del Monte Terminillo, in Lazio.

Non solo salite

Il respiro micologico dell’Italia non si esaurisce nei dislivelli alpini o appenninici. C’è un’altra Italia, più orizzontale, più calda, più mediterranea, che ogni anno viene sfiorata — o attraversata — dalle ruote della carovana rosa: un’Italia fatta di cerrete, leccete, castagneti, sugherete, dove i funghi, seppure con ritmi diversi, non mancano mai. Pensiamo alle tante foreste del Centro Italia, tra Toscana, Lazio, Umbria e Abruzzo: formazioni boschive dominate da Quercus cerris e Castanea sativa spesso miste a carpino nero, orniello e acero minore. In queste foreste, tra i 400 e i 1000 metri, se il mese di maggio è umido e mite, può iniziare la crescita dei porcini estivi, in particolare Boletus aestivalis, specie nei tratti meno compattati e più ben esposti. Sono boschi che il Giro ha sfiorato molte volte: tra le gole del Nera e le vallate del Turano, lungo le dorsali della Sabina, o nei rilievi intorno all’Amiata. E quando li si osserva dall’alto, durante la diretta, appaiono come tappeti profondi e morbidi, punteggiati da radure luminose: ambienti che chi conosce, riconosce subito. Più a sud, le leccete del versante tirrenico, dal grossetano fino alle colline laziali e campane, offrono un altro tipo di habitat. Lì la dominanza di Quercus ilex, accompagnata da corbezzolo, fillirea e lentisco, crea microclimi freschi e ombrosi anche in quota modesta, grazie alla chiusura del mantello vegetale. In questi boschi, tra primavera e inizio estate, possono fruttificare numerose specie di Russula, Amanita caesarea e Boletus aestivalis, soprattutto nei punti dove il terreno è sabbioso ma ben drenato, spesso presso vecchi tracciati pastorali o muretti a secco dimenticati. Ancora più a sud, il Giro a volte ha toccato l’isola maggiore del Tirreno: la Sardegna. E se è vero che le tappe sarde sono più rare, è altrettanto vero che attraversano uno dei patrimoni forestali più particolari d’Europa: le sugherete. Formate da Quercus suber, spesso in mescolanza con leccio, mirto e cisto, le sugherete sono ambienti unici; qui vi crescono funghi legati a climi più aridi ma non per questo meno preziosi, dei generi Russula, Amanita, Xerocomus, Leccinellum (ma non mancano i porcini neri, Boletus aereus!) E infine, la Sicilia. Un continente in miniatura, dove il Giro è tornato più volte, e che offre scenari straordinari anche al micologo. Dalle cerrete e faggete dei Monti Nebrodi, attraversate da piste forestali e pascoli d’altura ricchi di vegetazione di ombrellifere, alle pendici boscate dell’Etna, con i suoi versanti ricchi di betulle, castagni e pino laricio, ogni zona ha un suo calendario nascosto. Sono ambienti diversi, ma non meno generosi. Per chi ha pazienza. Il Giro, nel suo attraversare l’Italia da nord a sud, non unisce soltanto le cime: cuce tra loro anche tutte queste varietà forestali, ognuna con il proprio tempo, le proprie piogge, il proprio micelio. Orizzonti larghi, boschi dimenticati, margini di montagna o litorale, macchie di collina che, se inquadrati fugacemente da una camera volante, bastano a far sussultare chi conosce davvero il bosco.

Un passaggio in ambienti collinari lungo il percorso della celebre "Strade Bianche"

Che cosa osservare in TV, al giro?

Pertanto, chi guarda il Giro d’Italia da casa, con occhi abituati a scrutare il bosco, può trasformare la diretta televisiva in un vero strumento di lettura fenologica. Le immagini offerte dall’elicottero o dalle moto di ripresa, se ben interpretate, raccontano molto anche sulla potenziale fruttificazione dei funghi, soprattutto in primavera. Tra i segnali più rivelatori ci sono le fioriture. Non solo delle erbacee come primule, ellebori o anemoni, ma soprattutto di alcuni alberi. In pianura e in media collina, la fioritura della robinia (Robinia pseudoacacia) è un campanello d’allarme positivo per il cercatore: quando i grappoli bianchi pendono copiosi tra i rami, significa che le temperature notturne si sono stabilizzate sopra i 10 °C e che la primavera è pienamente entrata nel vivo. È in quel momento che, nei castagneti e nei querceti delle fasce collinari, può iniziare l’attività di crescita dei primi porcini, come Boletus aestivalis. Altre fioriture da osservare sono quelle del biancospino, dell’orniello (Fraxinus ornus) e della ginestra dei carbonai: la loro presenza lungo i margini stradali o nei sottoboschi luminosi è un chiaro indizio che il terreno ha raggiunto un equilibrio termo-idrico compatibile con la fruttificazione del micelio di alcune specie primaverili. Nevi tardive in dissolvimento, condensa evidente sui vetri delle ammiraglie, nebbie che stagnano in bassa quota o ombre umide sotto le chiome più fitte, sono invece segnali di un suolo saturo o ben imbibito, ideale per funghi -in alta quota- come Hygrophorus marzuolus, Calocybe gambosa e per le prime uscite di Boletus pinophilus, soprattutto nei versanti ombrosi ben ventilati degli Appennini. L’acqua, anche solo suggerita da una chiazza sul ciglio, è il filo conduttore di ogni rinascita. E quando la telecamera scorge faggete con sottobosco verde e muschioso, castagneti ben curati o boschi misti con chiari di luce regolari, si è in presenza di ambienti stabili, non degradati, dove la fruttificazione fungina può avvenire con continuità. Particolarmente suggestive, per chi sa coglierle, sono le immagini dei faggi con le foglie primaverili appena spiegate: il colore tenero, quasi traslucido, annuncia che siamo nel cuore del risveglio vegetativo. Lì, nel silenzio, il micelio lavora. E, a volte, accade che nei margini più remoti delle tappe montane o collinari, si scorgono cercatori in lontananza, o auto parcheggiate su strade sterrate ai margini del bosco. Sono segnali da non trascurare: un cestino ai piedi di un muro, una figura curva tra i castagni, un piccolo gruppo in silenzio ai bordi di una radura. Sono indizi di un sapere silenzioso, quello delle comunità locali che conoscono ogni angolo del loro bosco e sanno “quando è ora”. E a volte si vedono i funghi! Non è una leggenda metropolitana, ma un dettaglio che solo chi ha l’occhio allenato riesce a cogliere. Alcune tappe storiche del Giro, soprattutto attraverso l’Appennino abruzzese o i rilievi dell’Irpinia, hanno inquadrato — seppur fugacemente — veri e propri gruppi di Agaricus crocodilinus nei prati stabili, o colonie sparse di Calocybe gambosa, il prugnolo o spinarolo. Ricordo come durante una tappa degli anni Novanta, l’elicottero, sorvolando un altipiano del centro Italia inondato di sole, mostrò chiaramente i cerchi verdi nei prati con funghi bianchi in evidenza, probabilmente prataioli o Calocybe gambosa in crescita, sparsi come costellazioni fra l'erba.

Una crescita prativa primaverile di prataioli maggiori, Agaricus crocodilinus.
Una crescita prativa primaverile di prataioli maggiori, Agaricus crocodilinus.

L’altra corsa rosa: vista dal sottobosco

Per me, il Giro non è mai stato soltanto la grande corsa rosa: non solo gli scatti nervosi tra Tonkov e Pantani, le picchiate spericolate di Savoldelli, le imprese solitarie di Nibali, l'esperienza di Andrea Noè, ma anche un racconto di stagioni, di boschi in risveglio, di versanti da leggere come pagine. L’ho sempre seguito anche con altri occhi: gli occhi del cercatore, quelli che non smettono mai di interrogare il paesaggio, anche quando lo sguardo di tutti gli altri è fisso sul gruppo. Ma il giro è anche un attraversamento rituale dell’Italia profonda: quella dei boschi, delle nebbie, dei versanti silenziosi dove, nel sottosuolo, si prepara la comparsa dei primi funghi. Ogni salita, se osservata con lo sguardo giusto, racconta più di una pendenza: racconta l’inclinazione di un versante, l’umidità che vi ristagna, il microclima che lì ha lavorato silenziosamente.

Come i corridori, anche i funghi attendono il momento giusto per emergere.

E allora capita che, mentre un campione si alza sui pedali tra i faggi dell’Appennino, tu — che guardi con occhi diversi — pensi che tra qualche giorno, proprio lì, nascerà qualcosa.

Forse un porcino. Forse solo un’idea.

Nicolò Oppicelli

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