Funghi: cronaca straordinaria, di una stagione ordinaria

Negli ultimi giorni si registrano raccolte diffuse di porcini estivi, Boletus aestivalis, in diverse zone della penisola: dalle faggete liguri al crinale tosco-emiliano, fino ai boschi laziali e alle prime Prealpi, mentre sulle Alpi la stagione di crescita dei finferli, Cantharellus cibarius, sembra preannunciarsi molto interessante. Le piogge di fine giugno e i temporali -localmente abbondanti- di inizio luglio hanno creato le condizioni favorevoli per la fruttificazione di queste specie, che in passato rappresentavano l’avvio abituale della stagione micologica estiva. Sui social le fotografie di cesti e ritrovamenti si moltiplicano, alimentando l’idea di un’annata eccezionale. Eppure, se si osserva con un minimo di prospettiva storica, ciò che sta accadendo rientra nella normalità di vent’anni fa: un periodo in cui la comparsa di B. aestivalis tra fine giugno e luglio era ciclica e prevedibile, prima che l’instabilità climatica degli ultimi decenni ne alterasse la regolarità e la distribuzione.
Quando la normalità era la regola
Fino agli anni 2000, l’avvio della stagione estiva dei funghi in Appennino e Prealpi non destava stupore. I porcini estivi apparivano con costanza tra giugno e luglio, non solo nelle faggete ma anche nei castagneti e nei querceti freschi, accompagnati da altre specie come Russula virescens e Cantharellus cibarius. Bastavano poche piogge ben distribuite e temperature miti per innescare la fruttificazione: il bosco rispondeva in maniera prevedibile, segnando l’inizio della stagione di raccolta senza la necessità di proclami o stupori. Le cronache micologiche del tempo riportano regolarmente abbondanze estive: un flusso di ritrovamenti che oggi sarebbe considerato eccezionale, ma che allora era semplicemente ordinario. La memoria di quelle annate è viva nei cercatori più esperti, che spesso faticano a riconoscere nei ritrovamenti odierni un vero “evento”.

Cosa è cambiato negli ultimi vent’anni?
L’aumento delle temperature e l’irregolarità delle piogge hanno modificato profondamente questo quadro. Secondo i dati, la temperatura media estiva in Italia è aumentata di circa +1,5 °C rispetto al periodo 1961-1990, con anomalie più marcate nelle aree interne appenniniche. La piovosità non è diminuita in senso assoluto, ma è cambiata nella distribuzione: meno giorni piovosi, eventi più intensi e localizzati, alternati a lunghi periodi secchi. Questi fattori hanno due effetti principali sui funghi: in primis, una fenologia più irregolare; i periodi di fruttificazione sono meno prevedibili e più brevi; secondariamente, un estrema settorialità; si verificano infatti differenze marcate tra versanti e valli vicine, con boschi ricchi di ritrovamenti, e altri completamente sterili. Studi fenologici europei (Kauserud et al., 2012) documentano una riduzione del 20-30% dei giorni medi di fruttificazione annua dei boleti in senso stretto, ovvero i funghi porcini, rispetto agli anni ’80-’90. Osservazioni italiane non ufficiali, ma raccolte in modo continuativo da gruppi micologici locali, confermano questa tendenza: un calo della regolarità più che della quantità assoluta, con annate ancora ricche ma sempre più rare e concentrate.
La falsa percezione dello “straordinario”
L’euforia di queste settimane nasce in parte da un cambiamento ecologico reale – la progressiva irregolarità delle fruttificazioni – ma è amplificata dal modo in cui oggi viviamo e condividiamo le notizie. I social network hanno trasformato i ritrovamenti in contenuto virale: decine di foto simili, pubblicate da aree limitate, finiscono per creare l’impressione di un’abbondanza generalizzata. Anche le testate locali e nazionali rilanciano spesso queste immagini, parlando di “annate eccezionali” senza distinguere tra fenomeni isolati e trend diffusi. Così, una fruttificazione normale ma ben documentata diventa straordinaria agli occhi del pubblico: l’effetto moltiplicatore della condivisione digitale amplifica ciò che un tempo restava circoscritto alle cronache dei gruppi micologici o alle conversazioni nei mercati di paese. Questo non significa che i social siano da demonizzare: anzi, se usati correttamente, possono fornire dati preziosi per capire l’andamento della stagione e costruire mappe partecipate di fruttificazione. Ma è importante distinguere tra la realtà ecologica e la sua rappresentazione mediatica, per evitare letture distorte che alimentano aspettative irrealistiche. Questo cambiamento altitudinale e l’anticipo delle fruttificazioni restano fenomeni poco percepiti dal grande pubblico; così, nell’immaginario collettivo, la comparsa simultanea di B.aestivalis e B.edulis a luglio, viene letta come “annata eccezionale”, mentre in realtà è il sintomo di un calendario che si sta spostando e sovrapponendo, senza più le nette scansioni stagionali di un tempo.

Verso l’alto?
Un fenomeno sempre più evidente, sia in Appennino sia sulle Alpi, è il progressivo spostamento altitudinale delle crescite. Fino agli anni ’90 Boletus aestivalis compariva regolarmente anche nei castagneti e nelle faggete di bassa quota, spesso tra i 500 e i 700 metri; oggi, invece, le nascite più affidabili si osservano mediamente 200–300 metri più in alto. Il confronto tra le cronache di raccolta di vent’anni fa e le segnalazioni attuali evidenzia come le quote basse, ormai più calde e soggette a stress idrico estivo, abbiano perso regolarità produttiva, mentre le fasce medie e alte conservano ancora condizioni favorevoli. Questo spostamento, combinato a una tendenza generale verso fruttificazioni anticipate, non è privo di conseguenze: riduce l’estensione reale degli habitat idonei e concentra l’attività micologica in ambienti più sensibili a fenomeni meteorologici estremi. Un’ondata di calore improvvisa o una gelata tardiva possono compromettere in poche ore l’intero ciclo produttivo. Quest’anno, a conferma di questa dinamica, si registrano già le prime comparse di Boletus edulis sia sulle Alpi sia in alcuni settori appenninici freschi e ben irrigati: un fenomeno che in passato si osservava più tardi, spesso solo a partire da inizio agosto. Ciò, di fatto, crea le condizioni per una progressiva sovrapposizione delle finestre di fruttificazione, con B. aestivalis e B. edulis presenti contemporaneamente in alcune aree, un tempo scandite da turnazioni stagionali più nette.
Le aree coinvolte: Appennino e prime Prealpi
In questo inizio estate 2025, le segnalazioni di presenza fungina si sono concentrate soprattutto lungo l’Appennino ligure e tosco-emiliano, con estensioni verso l’Umbria e il Lazio settentrionale. Le faggete liguri, emiliane e toscane, già ben inumidite dalle piogge di fine giugno, hanno mostrato una risposta vivace di Boletus aestivalis, specie simbolo di questo periodo. L’Appennino centrale presenta invece un quadro più eterogeneo: alcune aree hanno prodotto in modo discreto, altre sono rimaste pressoché ferme, in particolare nei versanti meridionali più esposti al vento e all’irraggiamento solare. Sulle Alpi, la stagione risulta già avviata e, in alcuni tratti, persino in anticipo rispetto alla media degli ultimi anni. Le abbondanti nevicate primaverili hanno garantito una buona riserva idrica e i temporali di inizio estate hanno mantenuto i suoli freschi, favorendo la comparsa precoce di B. aestivalis nelle fasce comprese tra 1000 e 1400 metri. Se le precipitazioni di luglio e agosto manterranno una cadenza regolare, le prospettive per la prosecuzione della stagione sono positive anche alle quote superiori. Un dato curioso, rilevato in più località sia alpine che appenniniche, è la presenza di specie di lettiera e condizioni del sottobosco tipiche di stagionalità più avanzate: in molte faggete e peccete si osserva un quadro ecologico che ricorda l’inizio di settembre, con suoli già ben decomposti e micelio in piena attività. Questo anticipo nei ritmi forestali – sempre più frequente negli ultimi anni – suggerisce una modifica profonda nei cicli del bosco, che oggi tende a concentrare in pochi periodi favorevoli processi che un tempo erano più diluiti nel corso dell’estate.
Un equilibrio da ritrovare
Se ciò che oggi appare straordinario era la norma vent’anni fa, la vera sfida è interrogarsi su quale sarà la normalità di domani. Le proiezioni climatiche per la fascia appenninica e prealpina indicano estati sempre più calde, con precipitazioni concentrate e maggiore frequenza di eventi estremi. In questo scenario, i funghi potrebbero spostarsi in quota o concentrare le fruttificazioni in finestre sempre più brevi, mettendo alla prova sia i cercatori che gli ecosistemi. Già ora osserviamo segnali di questo cambiamento: boschi che anticipano i cicli, lettiere che a luglio sembrano già autunnali, miceli che reagiscono in modo rapido ma discontinuo. La memoria collettiva, intanto, tende a smarrirsi: ciò che un tempo era consuetudine diventa motivo di clamore, amplificato da immagini e notizie che circolano in rete e contribuiscono a deformare la percezione del fenomeno. Ritrovare un equilibrio significa recuperare questa memoria, interpretare i segnali del bosco con più consapevolezza e non lasciarsi guidare solo dall’euforia del momento. È una sfida culturale prima ancora che scientifica: imparare a leggere le stagioni con occhi diversi, accettando che il “nuovo normale” non sarà quello che ricordiamo, ma qualcosa che richiederà attenzione continua e capacità di adattamento. Solo così la cronaca di queste stagioni – oggi definita straordinaria – potrà diventare strumento di comprensione e non di semplice nostalgia.