Luglio: la ricerca dei funghi in piena estate

Luglio è un mese che separa nettamente il cercatore occasionale da chi ama davvero studiare i segreti del bosco. Nella percezione comune, la stagione estiva coinciderebbe con un’aridità generalizzata, una pausa obbligata nell’attesa delle piogge di fine agosto o delle prime rugiade settembrine. Ma la realtà è più complessa e, proprio per questo, più stimolante: in gran parte d’Italia, le Alpi, gli Appennini e perfino alcune aree costiere offrono, anche in pieno luglio, fruttificazioni talora abbondanti e sorprendenti, a patto di saper interpretare la meteorologia locale e i microclimi più favorevoli.
La piena estate sulle Alpi
Le Alpi italiane rappresentano il principale bacino di ricerca estiva. La Valle d’Aosta offre un’ampia varietà di ambienti, dai lariceti più radi, dove l’esposizione al sole accelera l’evaporazione, alle abetine pure di peccio -Picea abies- che conservano un’umidità più costante grazie all’ombra fitta e al suolo ricco di materia organica. Tra le vallate più interessanti vi sono la Val di Cogne, la Val Veny e la Val d’Ayas, note per temporali pomeridiani che, pur essendo spesso localizzati e improvvisi, possono scaricare quantitativi di pioggia anche superiori ai 30-40
mm in poche ore. Il problema principale, però, è la persistenza dell’umidità
nel suolo. Un temporale, seppure abbondante, seguito da giornate di vento di caduta -come i fenomeni di foehn secondario che interessano molte conche valdostane e piemontesi- può azzerare nel giro di 48 ore l’effetto benefico
della precipitazione. La vegetazione erbacea si dissecca, il muschio perde
rapidamente la consistenza soffice e la lettiera superficiale si asciuga,
rendendo più complicato al micelio l’idratazione necessaria per produrre i
propri sporofori o corpi fruttiferi; nonostante questo specie resilienti come Boletus
edulis e Amanita rubescens possono presentarsi nel sottobosco, nei punti
più riparati. È per questo che molti appassionati esperti non si limitano a
controllare i bollettini pluviometrici, ma osservano anche con attenzione la
previsione dei venti nei quattro-cinque giorni successivi all’evento piovoso.

Anche il Piemonte mantiene in luglio un potenziale elevato, in termini di possibilità di ricerca dei funghi. Qui i boschi di peccio si alternano a faggete mature, con suoli profondi e una componente di latifoglie che trattiene l’umidità più a lungo. Le precipitazioni estive derivano spesso da temporali di evoluzione diurna, alimentati dalle correnti calde che salgono dal Mar Ligure e si incanalano nel Cuneese, oppure si sviluppano nell’area torinese e nel Verbano-Cusio-Ossola. Nel Torinese i fenomeni temporaleschi originano per effetto del riscaldamento convettivo delle pianure e della presenza di nuclei freschi di aria atlantica che, entrando in contrasto con il caldo accumulato nei bassi strati, innescano celle temporalesche talora intense. Analogamente, il VCO è soggetto a instabilità estiva grazie alla particolare orografia che favorisce la risalita di aria umida dal Lago Maggiore e la formazione di precipitazioni localizzate. Proprio questa complessità climatica produce differenze marcate anche in pochi chilometri: un crinale esposto a sud può risultare del tutto sterile, disseccato in poche ore, mentre un versante in ombra, con terreno muschioso e pendenza moderata, può conservare a lungo l’umidità e ospitare nascite consistenti di Boletus aestivalis e Russula virescens. Le Alpi lombarde e le Dolomiti presentano condizioni altrettanto diversificate. La Valtellina e le sue valli secondarie, come la Val Masino, la Val Gerola, la Val di Mello, ricevono talora rovesci concentrati che bagnano a fondo la lettiera, ma l’evaporazione è rapida se le temperature diurne superano stabilmente i 26-28 °C. Più a est, le Dolomiti trentine e venete, tra la Val di Fassa, la Val di Fiemme, la zona di Paneveggio (purtroppo, tristemente segnata da Vaia nelle sue foreste) e l’Agordino, offrono boschi di abete rosso e altre conifere tra i 1.400 e i 1.800 metri che, in annate fresche e instabili, possono offrire fruttificazioni anche importanti. Anche qui, la componente del vento è determinante: dopo il passaggio di un fronte temporalesco, la rapida rotazione delle correnti da nord può creare un essiccamento superficiale che compromette la nascita dei funghi. In questi ambienti alpini, la strategia migliore è attendere 8-10 giorni dopo un temporale di almeno 25-30 mm e concentrare le ricerche in conche ombrose e versanti a nord, verificando la consistenza del muschio e le condizioni di umidità al suolo. Anche l’Alto Adige, soprattutto l’altopiano del Renon, la Val di Tires e la Val d’Ega, offre a luglio habitat propizi, grazie alla presenza di estesi peccete che riescono a conservare l’umidità in profondità. Spostandosi lungo la dorsale appenninica, la situazione diventa più eterogenea. In Appennino ligure orientale -Val d’Aveto, Alta Val Trebbia, Valle Sturla- luglio alterna periodi di stasi assoluta a brevi fasi di attività fungina, quando le perturbazioni atlantiche riescono a penetrare a fondo e bagnano le formazioni miste di faggio, castagno e conifere. Qui il ruolo del mare è doppio: da un lato l’umidità atmosferica può aiutare a mantenere il substrato più fresco, dall’altro il ritorno del vento di mare caldo accelera l’evaporazione. L’Appennino tosco-emiliano, in aree come la Va Taro, l’Abetone, il crinale del Corno alle Scale, il comprensorio del Monte Falterona e la dorsale di Pratomagno, è spesso teatro di temporali violenti che però si esauriscono in pochi minuti. La faggeta matura riesce a trattenere l’acqua più a lungo, ma solo se le notti successive rimangono fresche e le brezze asciutte non raggiungono i versanti. È in queste situazioni che si osserva la maggiore differenza tra pendii soleggiati e conche umide.

Al centro della Penisola
Proseguendo verso l’Appennino centrale e meridionale, il potenziale micologico di luglio si fa più discontinuo e imprevedibile, ma non per questo trascurabile. I rilievi dei Monti Sibillini, dei Monti della Laga e delle principali catene montuose dell’Abruzzo, come la Majella e il Gran Sasso, sono caratterizzati da un mosaico di faggete estese e praterie montane che, nei periodi di instabilità atmosferica, possono beneficiare di temporali pomeridiani talvolta abbondanti. Quando le precipitazioni superano i 25-30 mm e le temperature notturne restano fresche, soprattutto sopra i 1.300-1.500 metri, la persistenza dell’umidità nel suolo si prolunga per diversi giorni, creando le condizioni ideali per la fruttificazione. In questi contesti si possono osservare comparsa di Cantharellus cibarius, Russula cyanoxantha e Boletus aestivalis, specie nei settori più riparati e ombrosi. Più a sud, le montagne del Matese e della Sila rappresentano esempi emblematici di come il clima estivo mediterraneo possa talvolta favorire buttate impreviste. Qui, in presenza di correnti umide provenienti dall’Adriatico o dal Tirreno -che risalgono verso le pendici boscate- i temporali possono bagnare il suolo in modo consistente e mantenere un effetto duraturo grazie alla quota e al fitto manto di faggi. Non è raro che, dopo una sequenza di piogge convettive e qualche giorno di stabilità, si attivino fruttificazioni brevi ma localmente abbondanti, concentrate nelle conche fresche e nei pendii meno esposti al vento di caduta. In queste aree, luglio può regalare sorprese soprattutto nei boschi maturi, dove l’ombra e il sottobosco muschioso aiutano a trattenere l’umidità, permettendo ai miceli di sviluppare gli sporofori in una dozzina di giorni. Scendendo ancora verso sud, anche le montagne della Basilicata -in particolare il comprensorio del Pollino- conservano un potenziale fungino che molti cercatori ignorano. I boschi misti di faggio e cerro, se colpiti da temporali estivi di una certa intensità, possono ospitare fruttificazioni fugaci di Boletus aestivalis e Russula sp., soprattutto nei settori al di sopra dei 1.200-1.300 metri, dove le notti si mantengono più fresche rispetto alle quote inferiori. Tuttavia, in queste zone, l’umidità tende a disperdersi rapidamente se non subentrano nuove precipitazioni o se si instaurano venti secchi dai quadranti settentrionali. Più a oriente, i rilievi dell’Etna costituiscono un caso particolarissimo: l’altitudine e il substrato vulcanico determinano condizioni microclimatiche peculiari, con forti escursioni termiche e una capacità del terreno di trattenere a lungo l’umidità negli strati profondi. Qui, nei boschi di quercia e castagno situati tra 1.000 e 1.500 metri, dopo piogge estive superiori ai 30 mm e un periodo di temperature stabili, si possono sviluppare nascite di Boletus aereus e Amanita caesarea, specie termofile che prediligono il calore e la ricchezza minerale dei suoli etnei. La loro comparsa, spesso improvvisa e concentrata in pochi giorni, costituisce un evento atteso dai raccoglitori locali, che osservano con attenzione le previsioni meteorologiche per intercettare il momento giusto. Anche la Sardegna offre scenari di interesse, specie nelle aree montane del Gennargentu e nei rilievi del Goceano e del Marghine, dove i boschi di leccio e cerro possono sorprendere con fruttificazioni estive di porcini neri, Boletus aereus e ovoli buoni, Amanita caesarea. In queste zone, la pioggia è spesso episodica e legata a perturbazioni convettive che si originano dal mare e risalgono verso l’interno: quando si accumulano almeno 25-30 mm di precipitazioni e le temperature restano relativamente miti, le buttate possono essere brevi ma abbondanti, a condizione che non si instaurino venti di maestrale che asciugano il substrato in poche ore. La conoscenza degli impluvi più riparati e delle macchie più ombrose è qui indispensabile per avere qualche possibilità di successo.
I segnali "fungini" del clima secco nel bosco, durante la stagione estiva.
A bassa quota
Non bisogna poi dimenticare le aree costiere e collinari, che in tutta Italia possono sorprendere con nascite fugaci di specie termofile, a condizione che si verifichi la (rara, per Luglio e Agosto) combinazione di pioggia abbondante, temperature miti e assenza di vento secco. Nel Nord, le zone collinari liguri e toscane -come le pendici più basse dell’Appennino e le fasce pedemontane prospicienti il mare- possono beneficiare di temporali notturni che bagnano a fondo i querceti e i castagneti, stimolando la comparsa di Boletus aestivalis e Boletus aereus, specie se l’umidità si mantiene costante per almeno cinque o sei giorni. Nel Centro Italia, la fascia collinare tirrenica, dalla Maremma laziale fino ai Monti della Tolfa, offre contesti ancora più favorevoli per le specie strettamente termofile. Qui, se un temporale estivo scarica 30-50 mm in poche ore e il suolo resta umido per alcuni giorni, si possono osservare emergenze repentine di Boletus aereus e Amanita caesarea, funghi che prediligono le leccete calde e i querceti maturi dal sottobosco asciutto per gran parte dell’anno. Queste buttate hanno carattere effimero: talora bastano tre o quattro giorni di stabilità successiva per innescare la fruttificazione, seguita da una rapida maturazione e successivo deperimento se l’aria si scalda oltre misura. Più a sud, lungo le coste campane, lucane e calabresi e nelle zone interne della Sicilia, la possibilità di raccolte estive è ancora più spiccata in annate fresche e umide. In questi ambienti mediterranei, l’azione di temporali convettivi che si sviluppano sul mare e si spostano verso l’entroterra è essenziale per riportare l’umidità nei substrati profondi. È qui che Amanita caesarea raggiunge spesso una qualità e una precocità ineguagliabili: gli esemplari compaiono isolati nei punti più ombreggiati di querceti e castagneti, talvolta accompagnati da Boletus aereus e da altre specie xero-termofile, con tempistiche che possono variare da dieci a quindici giorni dopo la pioggia, a seconda della persistenza dell’umidità e dell’andamento termico. In tutte queste fasce climatiche, il cercatore esperto sa che luglio è un mese di attesa vigile: bastano pochi millimetri di differenza nelle precipitazioni e un’oscillazione di un paio di gradi nelle temperature minime per decretare la riuscita o meno di una buttata. La chiave per una ricerca fruttuosa risiede nell’osservazione scrupolosa di tre fattori: la quantità di pioggia effettivamente caduta e assorbita dal terreno, la temperatura notturna e la ventilazione nei giorni successivi.
Andar per funghi a luglio: ma quanti giorni dopo una pioggia occorre verificare il bosco?
La tempistica tra un evento piovoso e la comparsa dei funghi è uno degli aspetti più delicati della ricerca estiva e varia sensibilmente in funzione di tre fattori principali: l’altitudine, la temperatura media diurna e notturna, la quantità e la persistenza dell’umidità nel suolo. In linea generale, più si sale di quota e più i
processi di crescita rallentano, poiché le notti fresche prolungano la
maturazione dei primordi e il micelio impiega più tempo a riprendere l’attività
metabolica. In un bosco di peccio a 1.600 metri, con temperature minime che
scendono sotto i 10-12 °C, si possono attendere anche 18-20 giorni prima di
osservare le prime nascite di Boletus edulis, mentre ne bastano una decina per le prime presenze del finferlo, Cantharellus cibarius. Al contrario, in un querceto collinare caldo, dove le temperature minime si mantengono intorno ai 18-20 °C, bastano talvolta 10-11 giorni affinché le specie più termofile, come Boletus aereus o Boletus aestivalis, emergano con una certa rapidità. Un elemento determinante è la quantità complessiva di pioggia caduta. Quando si verificano temporali violenti ma di breve durata, con accumuli di 10-15 mm, nella maggior parte dei casi non si osservano fruttificazioni significative, poiché l’acqua bagna soltanto la lettiera superficiale senza penetrare nei primi centimetri di suolo. Solo in situazioni eccezionali -come avvallamenti profondi e ombreggiati, impluvi freschi o aree già umide per precedenti precipitazioni- anche un accumulo modesto può stimolare una comparsa molto localizzata e fugace di qualche esemplare isolato. Al contrario, un evento piovoso più sostanzioso e prolungato, che superi i 30 mm distribuiti su più ore o su giornate consecutive, garantisce un’umidità più stabile e favorisce l’avvio di una crescita estiva vera e propria, in genere più omogenea e duratura.