Sul cratere nasce il bosco: funghi e vulcani, una storia inattesa

Sul cratere nasce il bosco: funghi e vulcani, una storia inattesa
L'Etna e le foreste che caratterizzano il suo territorio, osservate dal massiccio dei Nebrodi.
Le immagini dell'eruzione dell'Etna del 1° giugno 2025 hanno nuovamente ricordato all’Europa e al mondo intero la potenza viva del nostro pianeta. Ma oltre la spettacolarità dei getti di lava e delle nubi piroclastiche, sulle pendici del vulcano più attivo d’Europa si estende un mondo silenzioso, intricato e profondamente resiliente: quello dei funghi. Dai boschi di castagno e querce alle pinete e ai betulleti relitti di alta quota, fino alle colate più giovani ancora spoglie, ogni angolo dell’Etna racconta una storia di interazione tra suolo vulcanico, vegetazione e comunità fungine. Ed è una storia che si ripete, con infinite varianti, in tutti i contesti vulcanici del pianeta.

A un primo sguardo, un terreno formatosi in seguito a un’eruzione può sembrare del tutto ostile alla vita. Lava solidificata, ceneri, pomici, lapilli: resti incandescenti che si sono raffreddati in un paesaggio spoglio, apparentemente inerte. Eppure, è proprio da questi materiali primordiali che, con il tempo, si originano alcuni dei suoli più peculiari e fertili del nostro pianeta: i suoli vulcanici. Parliamo di suoli giovani, plasmati dalla lenta disgregazione delle rocce ad opera del vento, delle piogge e dei primi organismi pionieri. La loro struttura è generalmente soffice, porosa, talvolta simile a una spugna: questa particolare conformazione consente di trattenere l’umidità anche durante periodi prolungati di siccità, creando così microambienti adatti alla colonizzazione biologica. Dal punto di vista chimico, questi suoli sono ricchi di elementi fondamentali come potassio, fosforo, calcio e magnesio. Tuttavia, tali nutrienti non sono sempre immediatamente disponibili per le piante, poiché legati a forme minerali insolubili. È in questo contesto che entrano in gioco i funghi: autentici pionieri della rinascita. I primi a colonizzare questi ambienti sono spesso funghi invisibili a occhio nudo, che si diffondono sotto forma di micelio. Attraverso il rilascio di enzimi e acidi organici, questi microrganismi iniziano a sciogliere i minerali, rendendo disponibili i nutrienti, e a costruire le basi per una rete ecologica complessa. Quando arriveranno le prime piante erbacee o arboree, saranno pronte a formare con loro simbiosi micorriziche, scambiando zuccheri con acqua e minerali. Non sorprende, dunque, che alcuni tra i funghi più conosciuti -inclusi i porcini, gli ovoli, i finferli e altre specie-fruttifichino anche in questi ambienti, dove il terreno racconta una lunga storia fatta di fuoco, trasformazione e lenta riconquista della vita.

Porcini neri, Boletus aereus, su suolo lavico alle pendici dell'Etna (ph. Salvatore Costa)
Boletus aereus; ritrovamento sotto latifoglie alle pendici dell'Etna (ph. Salvatore Costa)

Funghi: i primi colonizzatori

Dopo un’eruzione vulcanica, il paesaggio appare desolato. Colate di lava e strati di cenere ricoprono ogni traccia di vita, lasciando una superficie grigia, compatta, in apparenza priva di speranza. Ma anche in questo contesto estremo, la vita trova una via. E tra i primi organismi a insediarsi, in modo discreto ma determinante, ci sono i funghi. Le loro spore, microscopiche e leggere, si diffondono attraverso l’aria, trasportate dal vento, dalla pioggia o dal piumaggio di un animale. Quando giungono in un microhabitat favorevole – una fessura nella lava solidificata, un granulo di cenere umido, un frammento organico trasportato dal caso – iniziano a germinare. Nasce così, nel silenzio del sottosuolo giovane, il micelio: una rete di ife sottilissime che si insinua nel substrato, colonizzandolo con pazienza. Questo reticolo fungino, spesso invisibile all’occhio umano, è capace di penetrare le rocce porose e interagire con le particelle minerali. Tramite la produzione di enzimi e sostanze acide, i funghi riescono a mobilitare nutrienti chiave come il fosforo, rendendoli accessibili per altri organismi. È il primo passo di un processo ecologico fondamentale: la costruzione di un terreno fertile laddove prima esisteva solo pietra e calore. Questi meccanismi sono ben documentati in contesti emblematici, come l’isola vulcanica di Surtsey (Islanda), emersa dal mare nel 1963, o nei flussi lavici dell’Etna, dove l’osservazione diretta ha mostrato che la successione ecologica inizia proprio con i funghi. A seguire compaiono i licheni, poi i muschi, infine le prime piante vascolari. È interessante notare che le piante pioniere, per poter sopravvivere in suoli tanto giovani quanto poveri, instaurano fin dai primi stadi del loro sviluppo simbiosi micorriziche: alleanze sotterranee, invisibili ma decisive, con il micelio dei funghi. Questi ultimi, grazie alla loro capacità di esplorare in profondità il substrato, forniscono alle radici acqua e sali minerali difficilmente accessibili, ricevendo in cambio zuccheri prodotti dalla fotosintesi. Si tratta di una cooperazione fondamentale, che consente alle piante di colonizzare ambienti ostili e al tempo stesso accelera il processo di trasformazione del suolo, rendendolo sempre più ospitale per altre forme di vita.

Una Faggeta ai margini di un cratere, lungo le pendici dell'Etna. Foto di Felice Mangano.
Una faggeta ai margini di un cratere, lungo le pendici dell'Etna. (ph.Felice Mangano)

Dalla cenere alla Vita

Un suolo vulcanico non nasce pronto ad accogliere la vita. Dopo un’eruzione, ciò che rimane al suolo è una distesa inerte di lava solidificata o di ceneri e lapilli piroclastici: materiali privi di struttura organica, composti principalmente da silicati, ossidi di ferro e magnesio, feldspati e frammenti vetrosi. In questa fase primordiale, il substrato è tecnicamente definito regolite: una coltre incoerente di particelle minerali, sterile, priva di microrganismi stabiliti, di humus, di radici o di qualsiasi residuo biologico. Un vero suolo, propriamente detto, ancora non esiste. La pedogenesi comincia grazie all’azione combinata degli agenti atmosferici e dei primi colonizzatori biologici. Le piogge, penetrando nei materiali porosi – come pomici e basalti fratturati – attivano i primi processi di alterazione chimica: rilasciano cationi (come calcio, magnesio e potassio), solubilizzano il fosforo, modificano il pH. Il vento, nel frattempo, trasporta spore, semi, pulviscolo organico. In questi contesti estremi, i primi organismi a insediarsi sono spesso cianobatteri, alghe verdi, licheni e funghi saprotrofi termotolleranti, appartenenti a generi pionieri come Penicillium, Aspergillus o Cladosporium. Alcune di queste forme di vita iniziano già nella fase embrionale ad accumulare carbonio organico e a produrre acidi organici che contribuiscono alla disgregazione minerale.

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I suoli vulcanici si formano dalla disgregazione di materiali eruttivi come ceneri, lapilli, pomici e lave. A seconda della composizione e del tempo trascorso dall’eruzione, possono risultare sabbiosi o compatti, poveri di humus ma ricchi di elementi minerali come silice, allumina, potassio, calcio e magnesio. La cosiddetta “pozzolana”, ad esempio, è una polvere vulcanica vetrosa che nel tempo si trasforma in un suolo stabile, arieggiato e con buona capacità di ritenzione idrica.

Col passare degli anni – o dei decenni, a seconda del clima – si accumulano gradualmente materiali organici: resti vegetali decomposti, spoglie animali, essudati radicali. La biomassa microbica cresce e con essa la complessità ecologica del substrato. I minerali primari si alterano progressivamente, rilasciando elementi nutritivi e creando le condizioni per la colonizzazione di forme di vita più evolute. Inizia così la trasformazione del materiale vulcanico in un vero e proprio suolo. Si delineano i primi orizzonti pedogenetici, con caratteristiche chimico-fisiche via via più differenziate. In alcune regioni vulcaniche del mondo, come il Giappone, si sviluppano suoli noti come andosuoli (dal giapponese ando, “cenere”), famosi per la loro elevata porosità, la capacità di trattenere acqua e la presenza di minerali amorfi come allofane e imogolite. Sebbene in Italia il clima non sia umido come in quelle aree, alcune zone dell’Etna, dell’Amiata, del Vulture e dei Colli Albani presentano suoli con caratteristiche analoghe: substrati giovani, porosi, ricchi di ossidi amorfi, con buona ritenzione idrica ma soggetti nel tempo a fenomeni di acidificazione. Con l’arrivo della vegetazione, l’evoluzione del suolo accelera sensibilmente. Le prime piante erbacee, capaci di sopravvivere in condizioni ancora difficili, aprono la strada a specie arbustive e infine a formazioni arboree più complesse. Gli alberi simbionti – querce, faggi, castagni, betulle, conifere – instaurano relazioni mutualistiche con comunità fungine specifiche, arricchendo ulteriormente il suolo di biomassa e diversità. In questa fase il paesaggio muta profondamente: dai versanti spogli si passa a ecosistemi forestali maturi, sostenuti da suoli ormai strutturati e ricchi di materia organica. Anche il micobiota si diversifica: accanto ai funghi pionieri compaiono specie ectomicorriziche più esigenti come Boletus, Amanita, Russula, Cortinarius, Tricholoma, Hydnum, fino ad arrivare alle specie ipogee del genere Tuber (i tartufi), e ad alcune specie termofile, adattate ai climi caldi e alle condizioni particolari dei suoli vulcanici mediterranei.

Tuber borchii, tartufo bianchetto; ritrovamento alle falde dell'Etna (ph. Nicolò Oppicelli).
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In Italia, questo processo di rinascita è ben documentato su diversi vulcani quiescenti: sull’Etna, dove le colate del 1971 e del 1983 mostrano oggi segni evidenti di ricolonizzazione; sul Vesuvio, le cui pendici cominciarono a verdeggiare già pochi decenni dopo l’eruzione del 1944; sull’Amiata, dove antichi tufi e basalti alterati ospitano oggi suoli evoluti e boschi maturi. La velocità con cui un suolo vulcanico si trasforma dipende da molteplici fattori locali: altitudine, esposizione, regime pluviometrico, composizione dei materiali originari e tipo di copertura vegetale.

Vulcani in Italia

Chi osserva il paesaggio italiano con occhio attento, riconosce come molte delle sue zone più fertili e ricche di biodiversità affondino le radici in un passato di fuoco. La nostra penisola è disseminata di apparati vulcanici, alcuni ancora attivi, altri silenti da millenni, ma tutti ancora ben visibili nel profilo dei rilievi, nella composizione dei suoli, nella fisionomia delle foreste… e persino nella vita nascosta dei funghi. Sulle pendici dell’Etna, ad esempio, il paesaggio cambia con l’altitudine: si incontrano castagneti, faggete, querce caducifoglie, pinete di reimpianto e perfino relitti glaciali come la betulla dell’Etna (Betula aetnensis), specie endemica dell’isola. Nei piani inferiori, tra radure e colate antiche, si insedia anche Ferula communis, pianta pioniera dei pascoli rupestri. I suoli, nati dalla disgregazione di lave e ceneri, sono ricchi di minerali ma inizialmente poveri di sostanza organica. Proprio queste condizioni, apparentemente ostili, si rivelano favorevoli a comunità fungine specializzate. Su questi substrati si sviluppano tre delle quattro specie italiane di porcino: Boletus edulis, B. aestivalis e B. aereus. Ma non mancano altre presenze di pregio, come le specie del genere Leccinum, numerose Russula; il Pleurotus eryngii var. ferulae, associato alla Ferula, o Imperator luteocupreus, dalle tinte accese e quasi incandescenti; in particolare, le ultime due specie sono fra quelle più note e consumate a livello locale.

Più a nord, il Vesuvio offre un altro esempio emblematico. Dopo l’eruzione del 1944, la vegetazione ha riconquistato progressivamente le pendici del vulcano: prima le ginestre, poi i pini mediterranei, entrambi supportati da funghi simbionti capaci di insediarsi in suoli giovani e scarsamente strutturati. Nelle pinete vesuviane si rinvengono Suillus collinitus, Lactarius deliciosus, Russula torulosa, ma anche Amanita caesarea, Boletus aereus e numerose altre specie micorriziche. Anche il Monte Amiata, in Toscana, è un vulcano estinto ricoperto da estese faggete e castagneti. I suoli, derivati da lave, tufi e ceneri consolidate, sono profondi, freschi e leggermente acidi: condizioni ideali per la fruttificazione di molteplici specie micorriziche. È uno dei territori più vocati d’Italia per la raccolta dei porcini, rappresentati qui da tutte e quattro le specie principali, oltre che per la straordinaria faggeta e la ricchezza micologica in generale. Nel Lazio, i Colli Albani rappresentano le vestigia di un vasto complesso vulcanico, attivo fino a poche decine di migliaia di anni fa. Intorno ai laghi di Albano e Nemi si estendono boschi misti di leccio, cerro e castagno. I suoli, generati dalla disgregazione della pozzolana e di altri materiali piroclastici, possiedono elevata porosità e una notevole capacità di trattenere l’umidità. È in questi ambienti che da secoli si raccoglie anche Amanita caesarea, il pregiato ovolo buono, fungo già apprezzato dai Romani quale prelibatezza assoluta. Le fonti storiche citano raccolte nei pressi di Alba Longa, città leggendaria sorta proprio sulle pendici dei Colli Albani. Infine, nel cuore della Basilicata, il Monte Vulture si presenta come un cono isolato che domina l’Appennino lucano. Un tempo vulcano attivo, oggi è rivestito da boschi lussureggianti di castagni e faggi, nutriti da un suolo scuro, profondo, capace di trattenere umidità e rilasciare lentamente nutrienti. Anche qui la varietà micologica è sorprendente: oltre ai porcini e agli ovoli, si raccolgono tartufi neri (Tuber aestivum, T.mesentericum), numerose Russula, Lactarius, Cortinarius e molte altre specie d'interesse micologico, che testimoniano la straordinaria vitalità dei suoli vulcanici italiani.

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La mineralità elevata dei suoli vulcanici, consente l’insediamento di molte specie simbionti, mentre la porosità del terreno facilita la penetrazione delle ife. I miceli si insinuano in profondità, costruendo complesse reti di scambio con le radici degli alberi. In queste condizioni, anche senza un’elevata quantità di sostanza organica, le comunità fungine prosperano, innescando processi ecologici fondamentali per la rigenerazione degli ecosistemi forestali.
Russula torulosa, specie diffusa nelle pinete che crescono sui suoli acidi di origine vulcanica, in particolare lungo le pendici di diversi apparati attivi e quiescenti dell’Europa mediterranea.

Meteorologia del vulcano, ecologia del fungo

Le eruzioni vulcaniche non influenzano soltanto il suolo, ma agiscono anche sul clima locale e regionale, alterando in modo significativo gli equilibri forestali. L’emissione di ceneri e aerosol nell’atmosfera può ridurre la radiazione solare, abbassare temporaneamente le temperature e modificare la distribuzione delle precipitazioni anche a centinaia di chilometri dal cratere. Questi effetti, benché spesso transitori, sono tutt’altro che trascurabili. In anni recenti, studi condotti in Giappone e in Islanda hanno dimostrato come le eruzioni esplosive possano determinare cali della temperatura media stagionale fino a mezzo grado centigrado. In contesti montani o marginali, particolarmente sensibili al bilancio termico e idrico, anche variazioni minime possono influire sulla fenologia della vegetazione e sulla fruttificazione dei funghi. Alcune specie micorriziche anticipano o ritardano la comparsa degli sporofori proprio in risposta a queste fluttuazioni. Non solo: la ricaduta delle ceneri vulcaniche su ampie superfici boschive modifica temporaneamente la struttura del suolo, influenzando i processi di mineralizzazione, il pH e la composizione microbica. In alcuni casi, l’accumulo di sostanze silicee e alluminose può ostacolare la decomposizione della lettiera, rallentando il rilascio di nutrienti. Tutto ciò ha ricadute dirette sulla comunità fungina, che risponde a queste alterazioni con cambiamenti nella composizione specifica e nell’intensità delle fruttificazioni, talvolta per diverse stagioni consecutive.

Boletus edulis, nelle faggete del Monte Amiata, in Toscana (ph. Nicolò Oppicelli)

C’è pH e pH

Tra i fattori ecologici più influenti sulla distribuzione dei funghi nei suoli vulcanici, il pH occupa una posizione centrale; questo perché ogni specie fungina, ogni “micelio”, possiede una propria nicchia ottimale. I suoli vulcanici italiani -come quelli dell’Etna, del Vulture, dell’Amiata o dei Colli Albani- mostrano in genere una reazione moderatamente acida, con valori di pH compresi tra 5,0 e 6,3. Questa acidità è determinata dalla presenza di silicati vetrosi e minerali amorfi (come allofane e imogolite), derivanti dalla decomposizione di ceneri e pomici. La tendenza all’acidificazione si accentua col tempo in ambienti forestali dominati da castagni o faggi, le cui lettiere abbassano ulteriormente il pH superficiale. Non ovunque, però, la reazione è la medesima. Suoli derivati da lave basaltiche massicce o trachiti alterate (es. Monte Amiata) possono avvicinarsi alla neutralità. Altrove, come nei suoli pozzolanici dei Colli Albani, l’alterazione chimica tende invece ad accentuare l’acidità. In Europa, condizioni simili si riscontrano in regioni vulcaniche come l’Auvergne (Francia centrale), le Azzorre e l’Islanda, con pH generalmente tra 4,8 e 6,2. Risulta invece diversa la situazione nelle Canarie o in Grecia, dove substrati basaltici più giovani e ambienti aridi mantengono pH più neutri, specie in presenza di vegetazione sclerofilla. Per questa ragione, lo studio del pH, unitamente alla tessitura e alla mineralogia del suolo, costituisce una base imprescindibile per comprendere la distribuzione ecologica dei funghi nei paesaggi vulcanici.

Visuale delle foreste del Puy de Dôme, nella regione francese dell'Alvernia.

Stante pertanto la spettacolarità dei fenomeni eruttivi, nel mondo naturale, pochi elementi raccontano la resilienza della vita quanto un paesaggio vulcanico colonizzato dai funghi. Dove la terra è stata spezzata dal fuoco e ricoperta da ceneri, i funghi sono spesso i primi a tornare: invisibili, ma determinanti. Con il loro micelio, trasformano la roccia in suolo, mettono in circolo nutrienti, stringono alleanze con le radici, aprono la strada al bosco. Li, proprio dove tutto sembrava perduto o ricoperto da lava e cenere, i funghi inaugurano la possibilità del ritorno. E lo fanno in silenzio, come sempre accade nelle cose essenziali.

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