I Funghi e il cambiamento climatico -parte 1-

Hygrocybe punicea - Funghi e cambiamenti climatici
Hygrocybe punicea, una specie un tempo diffusa nelle praterie d'alta quota in tardo autunno.
Il clima sta cambiando, e i funghi sono tra i primi a rivelarlo. Fruttificazioni fuori stagione, risalite altitudinali, alleanze nuove nei boschi che ritornano: sono segnali concreti di un equilibrio che si trasforma. In questa sezione speciale, raccoglieremo articoli, immagini e video dedicati al rapporto tra funghi e cambiamento climatico. Uno spazio per osservare, comprendere e raccontare — con rigore scientifico e voce divulgativa — il ruolo dei funghi negli ecosistemi in mutamento, con il clima che cambia.

Negli ecosistemi alpini italiani, l’impatto del cambiamento climatico è ormai evidente: temperature medie in aumento, regimi pluviometrici alterati, scioglimento precoce delle nevi e progressiva risalita delle fasce vegetazionali. In questo scenario, anche i funghi stanno modificando i propri comportamenti, diventando non soltanto indicatori sensibili delle trasformazioni ambientali in corso, ma anche agenti attivi nei nuovi equilibri ecologici che si vanno delineando. Il micelio, struttura sotterranea diffusa e dinamica, reagisce con estrema precisione a una molteplicità di fattori ambientali: umidità, ossigenazione del suolo, composizione del substrato, alternanza tra periodi stabili e perturbati. Tali risposte si manifestano nella comparsa dei corpi fruttiferi, la parte visibile del fungo, il cui calendario di crescita sta cambiando in modo evidente. Negli ultimi vent’anni, numerosi micologi hanno osservato una dilatazione e una destrutturazione delle finestre di fruttificazione: specie un tempo fedeli a determinati mesi o altitudini compaiono oggi fuori stagione e a quote diverse. Il porcino comune, Boletus edulis, tradizionalmente legato ai mesi di agosto e settembre nelle Alpi, fruttifica oggi anche verso la fine di ottobre. Il fungo dormiente della primavera, Hygrophorus marzuolus, una volta associato alle ultime nevi marzoline, può spuntare già tra gennaio e febbraio anche nelle zone d’alta quota dove la neve si scioglie in anticipo. Alcune specie di Cantharellus danno luogo a più cicli nello stesso anno, mentre funghi tipicamente montani risalgono di quota, colonizzando ambienti che in passato erano considerati troppo freddi o privi di vegetazione simbionte idonea alla fruttificazione. A determinare queste dinamiche non è soltanto la temperatura, ma una combinazione complessa di fattori ecologici. Il micelio risponde alla sequenza delle piogge, all’equilibrio idrico del suolo, all’esposizione solare, alla tessitura del substrato e alla presenza o assenza di copertura vegetale. Un solo giorno di vento secco o un’irradiazione solare anomala può compromettere una crescita in corso o ritardarla sensibilmente. In questo senso, i funghi non si limitano a rispecchiare le condizioni esterne: sono testimoni attivi e precisi di ogni variazione ambientale.

Colonizzare nuovi ambienti?

Tra i segnali più interessanti che si osservano lungo il crinale alpino vi è il ritorno delle cosiddette microselve colonizzatrici. Giovani lariceti, macchie di ontano verde e nuclei di pino cembro si stanno insediando su pendii un tempo brulli o pascolati, dove oggi il riscaldamento climatico e l’abbandono delle attività pastorali rendono nuovamente possibile l’insediamento arboreo. In queste aree di ricolonizzazione vegetale, i funghi instaurano le prime alleanze invisibili del bosco che ritorna. Laddove compaiono nuove piante, si attivano connessioni sotterranee che favoriscono la stabilizzazione del suolo, il recupero di nutrienti e la costruzione di un nuovo equilibrio ecologico. È in questi contesti che il ruolo del micelio si rivela centrale, silenzioso ma determinante, nella riconfigurazione delle dinamiche alpine. A questa funzione simbiontica si affianca quella decompositrice, altrettanto fondamentale nei contesti di crisi: la tempesta Vaia, che nel 2018 abbatté milioni di alberi nell’arco alpino, ha mostrato con chiarezza quanto i funghi possano intervenire anche in situazioni estreme. Dove la foresta appariva devastata, i miceli hanno visto risorsa. Ceppaie, tronchi spezzati e letti di ramaglia sono stati rapidamente colonizzati da specie saprotrofe come Hypholoma fasciculare, Stropharia aeruginosa e altri funghi lignicoli, capaci di degradare la materia legnosa, restituire umidità al suolo e avviare i primi processi di rigenerazione ecologica. In molti casi, la ripresa vegetativa delle aree colpite è partita proprio da qui: dall’azione discreta, diffusa e continua del micelio, che ha trasformato un evento traumatico in una nuova opportunità per il bosco. Quello che a occhio umano poteva sembrare distruzione, per il micelio è divenuto spazio fertile, apertura, soglia. È così che i funghi, ancora una volta, si sono rivelati mediatori di rinascita.

Clima caldo e funghi patogeni

Ma non tutti i funghi partecipano al risanamento del bosco. In un clima sempre più caldo, con inverni meno rigidi e siccità prolungate, alcuni patogeni hanno trovato condizioni favorevoli alla diffusione. Laddove gli alberi si indeboliscono per carenza d’acqua, funghi opportunisti come Diplodia sapinea o Heterobasidion annosum si insinuano nei rami e nelle radici, accelerando il declino della pianta ospite. Malattie un tempo occasionali stanno diventando ricorrenti anche in quota, complice l’aumento delle temperature e la persistenza di stress idrici. Il caldo secco estivo, ad esempio, ha favorito la comparsa di marciumi radicali nei pini, soprattutto nelle foreste più dense e sofferenti. Si tratta di segnali da non trascurare, perché mostrano come i funghi – spesso considerati neutri o benefici – possano diventare fattori aggravanti di crisi ecologiche. Un fungo patogeno si attiva con maggiore facilità in presenza di piante stressate: temperature elevate, forti escursioni termiche e lunghi periodi di siccità compromettono le difese fisiologiche dell’albero, rendendolo vulnerabile. In condizioni normali, infatti, la pianta è in grado di contrastare l’infezione grazie a meccanismi biochimici, barriere meccaniche e produzione di sostanze antimicrobiche. Ma quando queste difese cedono, anche funghi da tempo presenti nel tessuto come endofiti o latenti possono trasformarsi in agenti patogeni attivi. Il fungo agisce allora da opportunista, approfittando delle ferite, delle microfratture o delle aperture naturali, che lo stress climatico tende a esacerbare. È una dinamica silenziosa, ma che incide in modo profondo sugli equilibri delle foreste montane. 

Heterobasidium annosum - Fungo patogeno - Henri Koskien
I funghi del Genere Heterobasidion sono fra i principali agenti fungini responsabili del marciume radicale nelle conifere in ambienti forestali dell’emisfero boreale.

Il ciclo del carbonio

Un altro aspetto, ancora poco esplorato ma di crescente interesse scientifico, riguarda il legame tra funghi e ciclo del carbonio. I decompositori, degradando lignina e cellulosa, accelerano il rilascio di CO₂ nell’atmosfera. In un contesto in cui aumentano i legni morti – a causa di tempeste, incendi o morie diffuse – si intensifica anche l’attività metabolica di questi funghi, con conseguente immissione di carbonio nel ciclo atmosferico. È un effetto secondario, ma reale: il clima cambia, cadono più alberi, aumentano i funghi decompositori, si libera più CO₂. Un piccolo ingranaggio che si inserisce nella complessa macchina del cambiamento globale. Va però ricordato che il micelio stesso, nella sua estensione sotterranea, trattiene carbonio sotto forma di biomassa stabile. È dunque essenziale distinguere tra emissioni legate alla decomposizione e accumulo legato all’attività simbiontica e strutturale del micelio nel suolo. Non mancano, infatti, i funghi che contribuiscono a rafforzare la resilienza del bosco. Le specie simbionti più efficienti migliorano l’assorbimento idrico, stimolano la crescita, aumentano la tolleranza agli stress termici e proteggono la pianta da infezioni. In molte condizioni marginali, la presenza di un buon sistema micorrizico può fare la differenza tra una pianta che soccombe e una che sopravvive.

💡
Nel suolo, il micelio non è solo decompositore: è anche un deposito naturale di carbonio. I funghi saprotrofi rilasciano CO₂ degradando il legno, ma i funghi simbionti immagazzinano carbonio sotto forma di biomassa stabile. In un clima che cambia, il bilancio complessivo è positivo: i funghi aiutano a trattenere carbonio nel terreno, riducendo l’effetto serra.

I funghi, dunque, non sono semplici spettatori né attori univoci: sono co-protagonisti. Alcuni aggravano, altri mitigano. Alcuni precedono la crisi, altri aprono la via alla ricostruzione. Parlare di funghi e cambiamento climatico non significa isolare un dettaglio, ma osservare uno dei principali strumenti con cui la foresta si adatta, si trasforma, riscrive se’ stessa. Chi sa leggere le cortecce cadute, riconoscere le colonie nei tronchi, osservare fruttificazioni anomale lungo i sentieri, ha già davanti agli occhi una mappa del futuro. Il clima cambia, e i funghi – silenziosi, nascosti, onnipresenti – lo stanno già raccontando con una precisione che nessun sensore artificiale può eguagliare.

Presto, sarà pubblicato il prossimo capitolo: come il cambiamento climatico sta riscrivendo il calendario dei Funghi. Fruttificazioni anticipate, stagioni confuse e specie che compaiono fuori tempo: i funghi ci stanno indicando che le stagioni non sono più le stesse.

Read more