Il prugnolo, spinarolo, Fungo di San Giorgio: Calocybe gambosa

Con l’arrivo di aprile e maggio, la natura si risveglia e il sottobosco – ma anche i prati di mezza collina – iniziano a profumare di farina. È il segnale che Calocybe gambosa, più noto come prugnolo o fungo di San Giorgio, sta fruttificando. Una delle specie più apprezzate della primavera, ricercata da esperti e buongustai per il suo aroma inconfondibile e per la sua antica tradizione gastronomica.
Un fungo “del Santo”... e delle streghe
La tradizione popolare associa il prugnolo al 23 aprile, giorno dedicato a San Giorgio, figura simbolica della lotta contro il male, raffigurato nell’atto di sconfiggere un drago. Questo legame temporale, dovuto alla fruttificazione precoce del fungo – che in alcune annate, come questo 2025- può persino anticipare il mese di aprile – ha conferito alla specie il nome di “fungo di San Giorgio”, oggi uno dei più noti tra le denominazioni comuni (anche in Francia e Gran Bretagna, ad esempio). Tale appellativo, oltre a radicarla nel calendario liturgico, ne sottolinea l'importanza culturale nei ritmi stagionali delle comunità rurali. In molte zone del Centro-Nord Italia, la comparsa del prugnolo segnava l’inizio della “vera” stagione dei funghi e veniva accolta con gioia e rispetto. Ma la cultura contadina, da sempre attenta agli indizi della natura, ha letto nei suoi modelli di crescita qualcosa di ancora più misterioso. Il prugnolo, infatti, tende a svilupparsi seguendo strutture geometriche visibili sul terreno: cerchi quasi perfetti, semicerchi, strisce sinuose e persino disegni a zig-zag. Questi disegni, generati dal micelio che si espande in modo regolare nel suolo, sono detti “cerchi delle streghe” e hanno alimentato, nel passato, racconti e credenze popolari. In questi luoghi si pensava che danzassero le streghe durante la notte o che si sprigionassero energie misteriose. Altri invece vi vedevano il passaggio di un fulmine, come se la folgore avesse tracciato il cammino per il risveglio del fungo: da qui l’altro nome tradizionale di “fungo saetta”.

Dove cresce?
Il prugnolo è una delle poche specie micologiche a prediligere ambienti aperti e luminosi, anziché il classico sottobosco ombroso. Si trova infatti con maggiore frequenza in prati stabili non concimati, pascoli abbandonati, margini erbosi di boschi collinari e in radure soleggiate esposte a sud, spesso là dove il terreno è leggermente calcareo e ben drenato. La presenza dell’uomo, nei secoli, ha influito sulla sua diffusione: vecchi sentieri, muretti a secco, campi da fieno e aree coltivate secondo metodi tradizionali possono favorire la sua crescita, mentre l’agricoltura intensiva ne ha ridotto in molti casi l’abbondanza. Dal punto di vista ecologico, Calocybe gambosa viene spesso associata alla presenza di piante di Rosaceae, come il prugnolo selvatico (Prunus spinosa), il biancospino (Crataegus monogyna), la rosa canina, e persino la fragolina di bosco (Fragaria vesca), la cui presenza sembra spesso segnalare microhabitat idonei alla fruttificazione del fungo anche in zone boschive. In altri casi, quando queste piante mancano o sono troppo distanti, il fungo sembra adattarsi ad una strategia trofica prettamente saprotrofa, sfruttando la sostanza organica presente nel suolo per completare il proprio ciclo di vita. Le fruttificazioni sono spesso abbondanti, e si presentano in gruppi numerosi, disposti in file, semicerchi o cerchi completi, ben mimetizzati nell’erba grazie alle tonalità chiare del cappello, che spaziano dal bianco crema all’ocra pallido. Quando si impara a riconoscere queste “strisciate” primaverili, cercare prugnoli diventa un gioco di osservazione e pazienza: ogni esemplare pare spuntare come una gemma nascosta, pronta a ricompensare chi ha saputo leggere il linguaggio discreto del prato.
Come riconoscerlo
Calocybe gambosa è un fungo carnoso e compatto, con una morfologia che richiama quella dei tricolomi. La taglia è media, ma può variare sensibilmente a seconda delle condizioni ambientali e dello stadio di maturazione: il cappello oscilla in genere tra i 3 e i 12 cm di diametro, mentre il gambo raramente supera gli 8 cm di altezza. Il cappello è inizialmente convesso, poi tende ad appiattirsi con l’età, talvolta diventando leggermente ondulato o irregolare. La cuticola è liscia, asciutta, talvolta screpolata nelle giornate molto ventose o soleggiate, segno del suo adattamento agli ambienti aperti.
I colori pileici vanno dal bianco sporco al giallo ocra chiaro, con sfumature calde che possono variare da esemplare a esemplare. Una variante cromatica naturale di C. gambosa è la forma flavida, caratterizzata da un cappello giallastro dalle tonalità più cariche. Sotto il cappello, troviamo lamelle fitte, basse, biancastre, con una netta smarginatura al gambo, tanto da sembrare quasi libere alla vista superficiale. Il gambo è tozzo, cilindrico o leggermente allargato alla base, di colore bianco puro, spesso finemente pruinato, cioè ricoperto da una lieve polvere opalescente, e privo di anello o volva. La carne è bianca, immutabile; ma ciò che più colpisce è il suo profumo caratteristico, intenso e penetrante, che richiama la farina fresca, il pane impastato, o in alcune varietà una nota lievemente fermentata simile a quella del lievito madre. Questo odore, lo rende facilmente riconoscibile anche ad occhi chiusi, ed è la vera "firma sensoriale" del prugnolo.

Simili, ma non molto
Incauti e distratti cercatori potrebbero scambiarli per Inosperma erubescens (nota anche coi sinonimi Inocybe erubescens e Inocybe patouillardii), fungo primaverile tossico, responsabile di sindromi muscariniche a breve latenza. Nelle prime fasi di crescita può trarre in inganno per il cappello chiaro, talvolta coperto da un velo biancastro, e per il portamento simile al prugnolo. Tuttavia, si distingue per le lamelle più spesse e rade, la superficie pileica più fibrillosa, e soprattutto per la carne che vira al rosa-rossastro alla manipolazione o alla rottura. L’odore, meno gradevole, tende a essere fruttato o spermatico, mai farinaceo. Nonostante queste differenze macroscopiche, l’inesperienza può favorire errori: è perciò fondamentale far verificare sempre i raccolti da un micologo qualificato ed esperto. Infrequente, è anche la presenza negli stessi ambienti di Tricholosporum goniospermum, un fungo primaverile dalle lamelle lievemente violetto-lillacine, spore dalla caratteristica forma irregolare, angolosa e anche cruciforme, e cuticola finemente fibrillosa; edule.

Tradizioni in cucina
Calocybe gambosa è da secoli considerato un fungo di pregio, tra i più ricercati della primavera per la sua consistenza compatta e il suo profumo delicato ma persistente, capace di impreziosire numerosi piatti della tradizione contadina e montanara. In molte regioni italiane – dall’Appennino emiliano alle colline umbre, dalle Langhe al Subappennino dauno – è considerato una vera e propria prelibatezza stagionale, tanto che la sua comparsa viene attesa con trepidazione da buongustai e cuochi locali. Tra le preparazioni più diffuse spicca il classico prugnolo trifolato, cucinato con aglio, prezzemolo e un filo d’olio extravergine di oliva, che ne esalta l’aroma naturale. Ottimo anche come base per risotti, frittate rustiche o per accompagnare carni bianche e selvaggina leggera, si presta bene alla conservazione sott’olio. Già l’abate Giacomo Bresadola, uno dei più illustri micologi europei, nel 1899 ne celebrava le doti culinarie nel suo celebre volume I funghi mangerecci e velenosi dell’Europa media, definendolo “uno dei funghi più saporiti e gustosi che si conoscano”. Lo descriveva come particolarmente adatto all’essiccazione, capace di mantenere intatto il suo aroma piccante anche da secco, rendendolo ideale come condimento o insaporitore naturale nei mesi invernali. In alcune fiere primaverili – come quelle che si tengono annualmente in Emilia-Romagna, Toscana e Abruzzo – il prugnolo viene celebrato con piatti dedicati, degustazioni e mercatini dove è venduto fresco o conservato. Non mancano ristoranti che, nei periodi di fruttificazione, lo inseriscono nel menù come prugnolo o spinarolo, spesso abbinato a ingredienti semplici e stagionali, come asparagi selvatici, fave fresche o pecorini giovani.
Una raccolta consapevole
Nel corso del Novecento – e ancor più con l’avvento della gastronomia televisiva e dell’interesse turistico verso i prodotti locali – Calocybe gambosa è stata oggetto di una pressione raccolta sempre più intensa, soprattutto in quelle regioni dell’Appennino dove la specie fruttifica abbondantemente. In alcune aree, intere colonie di prugnoli sono state spogliate anno dopo anno da raccoglitori poco attenti, talvolta per uso personale, altre volte per fini commerciali non regolamentati. L'abitudine di prelevare anche i più piccoli esemplari, ancora chiusi e invisibili tra l’erba, ha determinato un impoverimento delle popolazioni locali, talvolta irreversibile. A questa situazione hanno cercato di porre rimedio numerose leggi regionali, che già dagli anni Ottanta e Novanta hanno introdotto normative specifiche per la raccolta di questa specie. In particolare, diverse regioni italiane (tra cui Umbria, Abruzzo, Lazio, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Basilicata e Molise) hanno stabilito limiti minimi di diametro del cappello, vietando la raccolta di esemplari inferiori ai 2–4 cm, in base alla normativa locale. Questo criterio non è casuale: è una soglia utile per garantire che il fungo abbia già rilasciato una parte delle sue spore, contribuendo così alla rigenerazione del micelio nel terreno.
Il clima e le stagioni che cambiano
Come abbiamo anticipato, questo fungo è tradizionalmente legato alla data del 23 aprile, giorno in cui si celebra San Giorgio; e in tal senso, Calocybe gambosa ha sempre rappresentato un segno certo dell’arrivo della piena primavera. Tuttavia, negli ultimi decenni, complice il riscaldamento climatico e l’anticipo stagionale delle temperature miti, la fruttificazione del prugnolo si sta spostando sempre più spesso verso la fine di marzo o l’inizio di aprile, con segnalazioni addirittura a fine febbraio nelle annate particolarmente calde. Questo fenomeno non è isolato: si inserisce in un quadro di progressiva modificazione fenologica della flora e della micobiota spontanea, che risponde in modo sensibile alle variazioni di temperatura, piovosità e umidità del suolo. I prugnoli, in particolare, sono funghi moderatamente dall'attitudine termofila, e, tendono a comparire dopo alcune giornate soleggiate seguite da piogge leggere, quando il suolo ha superato stabilmente i 10°C di temperatura. Tuttavia, questa precocità non è sempre sinonimo di abbondanza: le escursioni termiche improvvise, le gelate tardive o lunghi periodi di siccità primaverile possono interrompere bruscamente la fruttificazione o danneggiare i primordi.
Il prugnolo si conferma così, anche nel contesto climatico attuale, una sentinella stagionale, capace di raccontarci molto sulla salute degli ecosistemi erbosi e sulla qualità della primavera che stiamo vivendo.